L’ultimo messaggio, è l’invito alla presentazione di “G”, “Monica mi piacerebbe tanto venissi..”- “Ora del 25 (Ottobre) spero di essermi ripresa. Sono ancora a letto, ma prima o poi devo reagire!” . Così, Monica Bertoldi, Ingegnere, Manager, donna, amica, mai così velocemente avrei pensato di scrivere di lei come di G, amica comune, andata via troppo presto, anche lei ingegnere, alla quale è dedicato il racconto “G”, anche lei amica cara, di questo gruppo di professioniste veronesi che dalla pandemia hanno ricavato un desiderio di “fare”, ancora più forte, per la bellezza di questa nostra città, Verona.
Tutti sapevamo che stava male, da tempo ormai, ma la sua voglia di vivere senza tanti fronzoli, tanto meno lamentele, era ogni volta una certezza messa lì come uno schiaffo a te che ti lamenti che oggi c’è freddo: Monica a morsi si prendeva la vita.
“Oggi mi fanno la biopsia, ma domani mi alzo”, ogni volta che le chiedevi come stava ti rispondeva con cose pazzesche, parole strane, esami parecchio invasivi che nemmeno sapevi esistessero, come se fossero la cosa più normale del mondo, e sempre quella volontà di rialzarsi immediatamente, la frase non finiva mai senza una prospettiva. “Sono in ospedale, ma prenoto un viaggio in America, vado a trovare mio figlio”, e ci andava! E tu rimanevi basita dicendo tra te e te, ma come…io per un raffreddore non mi schiodo dal letto.
L’ultima volta che ci siamo viste di persona era Marzo, mi ha raggiunto a casa verso sera, dopo il lavoro “Sono in ritardo, arrivo!”, sempre elegante, raffinata, e magari quella parrucca portata con tanta disinvoltura, e di cui nessuna di noi ha mai chiesto nulla, perché Monica non voleva parlare della malattia, andava sempre dritta alla vita: anche quella sera si è presentata con una bottiglia di Champagne, amava lo Champagne.
Non ci si spingeva mai “oltre” con Monica rispettando il suo desiderio di vita, era difficile anche capire esattamente come stavano le cose, “Sto male, ma domani starò meglio, mi preparo per andare in montagna!” E ci andava. Oppure nella sua casa in Sardegna dove tante volte abbiamo progettato di andare tutte insieme, e non è mai successo, noi rimandavamo, lei no.
Non abbiamo capito che il tempo era finito.
Così, nel lavoro, nella vita. Monica restava a lavorare sempre fino a tardi in ufficio, non si risparmiava, finché non finiva quello che aveva in mente, una professionista rispettata e amata. Si, di quell’amore e rispetto che non è facile avere, soprattutto dalle donne: Monica non l’ho mai sentita parlare male di nessuna donna, a dispetto di quelle che si fanno paladine, ma alla prima occasione, in modo o nell’altro, si accaniscono a difesa di se stesse sulla prima donna a tiro come se questa non fosse essa stessa “donna”, di quelle che si vogliono difendere.
Monica no, nelle donne credeva davvero, era sempre possibilista e il suo modo di combattere la violenza o la sopraffazione non era mai questione di genere, ma di responsabilità comune.
Una donna seria.
Con Monica mi sono spesso sentita egoista: una qualche remora, o forse rispetto, non te la faceva chiamare abbastanza, mai abbastanza per vedersi, una sorta di imbarazzo ti metteva nella condizione di non sapere come affrontare quella forte contraddizione tra il camminare veloce della malattia e la sua direttamente proporzionale voglia di vivere.
Solo una volta, le ho scritto di questo sentirmi in colpa per non offrire tempo magari a parlare di quanto stava accadendo e lei non si è smentita, dritta come una freccia, “Assolutamente no! Sono io che non accetto il fine vita. E Giovanna lo aveva capito. Per quanto spesso ci sentivamo, nell’ultimo mese non ci sono riuscita. Sapeva mi avrebbe scioccato. Era una donna davvero speciale. Ne parleremo a voce, a presto!”. Non sono riuscita a parlare né con Giovanna, né con Monica, queste donne comunemente eccezionali. Scrivo, di G e di M.
La vita è davvero adesso, questo mi ha insegnato Monica.
Mentre scrivo, con il cuore che non mi permette scossoni, sono tutti qui vicino in chiesa che ti salutano, un gesto che serve a noi che restiamo, e come per G un anno fa, non abbiamo più bisogno di cercarti M, ti portiamo addosso, come una sciarpa rosa fatta a mano.
“C’è una cosa che la morte dà, e che non si può avere finché si è vivi, l’ubiquità”.