Lo scorso 18 novembre si è conclusa a Sharm el-Sheikh la 27^ Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Un momento storico che ha portato al via libera all’istituzione di un fondo per il “Loss and damage” a cui attingere per rimediare ai danni e alle perdite causate dal clima nei Paesi in via di sviluppo più vulnerabili. Ma non solo di questo si è parlato e, soprattutto, non ne hanno discusso solo i “grandi” del Pianeta. A farsi strada tra preconcetti, divari culturali ed egoismi sono state le nuove generazioni che hanno partecipato alla COY17, la Conferenza dei giovani delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Migliaia di ragazzi, provenienti da tutto il mondo, si sono riuniti dal 2 al 4 novembre per elaborare un documento ufficiale presentato poi alla COP27 con l’obiettivo di dare un punto di vista fresco e genuino sulle problematiche che affliggono il Pianeta e sulle soluzioni per salvaguardarlo. Tra di loro, nella delegazione italiana, c’era anche la 27enne veronese Irene Delfanti, che dell’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità ha fatto la sua passione.
Irene, quando hai sentito la necessità di far diventare l’ambiente una parte importante della tua vita?
Io sono una designer, una ricercatrice e lavoro per un’organizzazione che si occupa dei diritti dei popoli indigeni in ambito diplomatico e lavorando mi sono appassionata al tema della sostenibilità. La passione però era iniziata già verso i 18 anni e poi è culminata due anni fa quando ho fatto un master in Design del cambiamento a Edimburgo, che ha dato un senso e un filone a quello che avevo messo insieme negli anni.
Come sei arrivata alla partecipazione della COY17?
Io avevo partecipato tre anni fa alla LCOY, che è la versione locale della COY. L’anno dopo poi sono entrata nel team dell’organizzazione e tramite il gruppo sono venuta a conoscenza della COY, ho fatto domanda ed è andata.
Come è stato rappresentare il tuo Paese?
È stata un’emozione dire “adesso quello che porto al tavolo non è solo la percezione di quello che è importante per me ma devo tenere conto che magari questa informazione verrà usata per elaborare pensieri molto più grossi”. Ed è stato bello poi vedere – dato che eravamo 4 o 5 persone della nostra delegazione – come l’esperienza di essere italiani ci avesse colpito in maniera diversa e cosa ci premesse portare avanti.
Quali sono stati i temi focali che avete affrontato come gruppo giovani?
Ci sono stati molti eventi, workshop e conferenze in tre giorni. I macro-filoni erano la finanza climatica, che anche alla COP è stato un grosso tema: capire dove trovare i soldi e come i soldi dovranno muoversi tra Nord e Sud del mondo. C’è stato anche il tema dell’immigrazione e il tema delle rinnovabili, che importantissimo, anche se c’è stato meno discorso sull’impatto delle rinnovabili e il sentimento di alcuni di noi è stato che una critica più approfondita avrebbe preso in considerazione altre narrative.
Il 10 novembre c’è stata la consegna del documento ufficiale alla COP27. Quali sono le proposte che avete presentato ai “grandi” del mondo?
Di sicuro c’è stata molta attenzione al tema del “Loss and damage”. C’è stata anche molta richiesta dal punto di vista lavorativo, nel senso che non vogliamo fare lavori che contribuiscano alla crisi climatica, quindi abbiamo bisogno di essere formati, anche nelle scuole, e c’è bisogno che questi lavori ci siano e siano accessibili. Inoltre bisogna mettere queste cose nel budget perché un punto fondamentale di cui si è parlato molto durante la COY è che le parole ci sono e gli Stati hanno presentato i piani nazionali di riduzione delle emissioni, però devono dobbiamo assicurarci che i soldi siano messi dove hanno detto.
Un altro punto fondamentale della COY è la contaminazione che viene ad esserci tra culture diverse…
Sì ed è essenziale non solo alla riuscita della conferenza, ma anche per l’obiettivo di mitigare gli effetti peggiori di questa crisi, che è globale ma con soluzioni locali. Abbiamo così potuto capire i sentimenti e i bisogni degli altri Stati.
Credi che le proteste che stiamo vedendo in questi mesi siano utili al fine della sensibilizzazione?
Credo profondamente che le proteste siano essenziali e che debbano essere supportate. Certo poi c’è l’implementazione, che è il problema. Però ci sono persone, i giovani che hanno le capacità di implementare e speriamo che ci siano persone mature che sappiano ascoltare. La verità è che la cittadinanza attiva deve esserci.
Come vedi il futuro dopo questa esperienza?
Lo vedo duro, ma con molta più speranza. Può davvero valerne la pena metterci tutta questa energia e, magari, il futuro sarà meno peggio del previsto.