Storie del territorio - 22 gennaio 2023, 19:49

Il carnevale a Verona è una cosa seria, da vivere dal ridere

Venerdi sera all’Osteria Al Carro Armato c’è stata la presentazione dei candidati per le elezioni del 54esimo Re Teodorico Sior de la Carega Cor de Verona, occasione per far esplodere il “genius loci” di Verona, del suo centro storico.

Il carnevale a Verona è una cosa seria, da vivere dal ridere

La cultura è prendere coscienza di ciò che è invisibile, di ciò che resta nascosto e che bisogna essere in grado di svelare, fili che intrecciandosi creano il senso dell’abitare, il senso del vivere, quello di una comunità.

Tra questi fili a Verona sicuramente c’è il Carnevale, quel tempo di ripensare alla nostra storia, tempo di confessioni e di sana follia, necessaria per esorcizzare dolori e paure che tutti abbiamo. C’è da fare un distinguo, però.

C’è il Carnevale, quel periodo dell’anno che trae le proprie origini dai Saturnali della Roma antica o dalle feste dionisiache del periodo greco, come dai banchetti del VIII secolo prima del digiuno quaresimale nascondendo l’identità dietro una maschera, e non solo, e le “carnevalate”, quella chiassosità o gazzarre spesso figlie di imposizioni commerciali o ipocrite.

A Verona il Carnevale è una cosa seria, è legata al popolo, alla sofferenza della carestia, ai mesi freddi e duri dell’inverno, ha un senso, un gran senso. Il senso e il manifestarsi come storia di un periodo dell’anno fortemente legato alla terra, ai cicli dell’agricoltura, all’essere umani, all’avere paura ed all’esorcizzare, al ritrovarsi e riconoscersi come comunità.

Da bambina, poi da adolescente, non ho mai sopportato il carnevale, prima perché mi vestivano da principessa o da fatina ed io volevo essere Zorro o un Pirata (mi è sempre piaciuta la contraddizione, fuori dalle regole) poi perché mi sembravano tutte “carnevalate”, tanto per fare casino, e io sono sempre stata un orso, in letargo, che si sveglia quando sente odore di bellezza.

Così ho accolto con animo aperto l’invito alla serata per la presentazione dei candidati a vestire, anzi ad “abitare”, indossare il quartiere dunque i panni di Re Teodorico, Signore del quartiere Carega, il mio, ovvero il Centro storico di Verona. Si certo c’è da fare distinzione con il rione del Duomo, quella differenza tra popolo e Clero, ma almeno questa rivalità dovremmo averla superata in 54 anni, siamo un tutt’uno dentro l’ansa del fiume.

Non mi metto certo a raccontare la storia, seppur sia il senso di tutto, del quartiere e della sua “maschera”, ma la narrazione dell’umanità del suo esistere, del suo fare quello si, con quella sana vena di follia che prima di far essere i veronesi “tutti matti” è quel buon umore che fa tanto bene a tutti, questo mi pare importante.

Durante la serata, senza freni, né ruoli, né regole, maschere senza maschere, stupende le arringhe dei difensori dal popolo dei due candidati a Re Teodorico, il primo Re d’Italia, in fondo: il primo, Alberto Recchia commercialista nel quotidiano, Presidente del Comitato Benefico della Carega e rappresentante del giovane candidato Mario Celeste che, in barba alla diceria dei veronesi non accoglienti, è un giovane che a Verona risiede solo da qualche anno e che ha trascinato con se altri giovani del quartiere e non solo, mettendosi in gioco; e poi Andrea Alban Architetto nella vita, avvocato per l’occasione, con un’arringa assai coinvolgente, con canti filastrocche e musica, da trascinare “gli spalti” e gli astanti in una continua Ola per il candidato storico, Everardo Manzatti detto Dino, pagliaccio Spazzola (tutto un programma solo il nome).

Tra le promesse del programma elettorale di quest’ultimo interessanti sono risultate la proposta dello spostamento del Duomo, l’idea di fare lo stadio al posto dell’Arena, varie ed eventuali del genere, molto simili in fondo alle proposte del quotidiano amministrare la città.

Una serata insomma dove spogliarsi dei ruoli ed essere solo abitanti del centro storico, gli stessi che difendono il senso dell’abitare, ciò che serve a mantenere le tradizioni, a dare senso al vivere con allegria, perché tutti abbiamo dolori e paure ma abbiamo bisogno di non sentirci soli, perché insieme tutto si affronta, siamo una comunità che non va disgregata, basta avere una “Carega": nel rosso di un goto di vino, nel verde di un drappo che ricorda l’amore giovanile, nel giallo di una follia sana che porta buon umore.

C’è un palazzo in centro storico, l’unico con un affresco sottogronda che rende visibile una festa bacchica, un baccanale, genius loci di questo quartiere cuore di Verona, marchio e filosofia di vivere che Auguste Renoir, il pittore  dell’impressionismo francese, chiamava “La gioia di vivere”.

Buon Carnevale a tutti.

Daniela Cavallo

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