Non chiamatela fotografia, perché quella è solo lo strumento, dipinti si addice di più alle opere di Matteo Basilè; ritratti nello specifico, quel senso di ri-cavare l’immagine, scavare per fare venire fuori, svelare, che è poi il compito stesso dell’arte tutta.
Scavare per ricavare l’origine di un’umanità che sta cambiando: il percorso delle opere esposte segue il filo rosso di un pre, durante e post pandemia Covid 19 che ci ha cambiato la vita, il modo di pensare, di vedere la realtà.
“Da dove veniamo, Chi siamo? Dove andiamo?” quelle domande ancestrali che già si fece Paul Gauguin esponente dell’Impressionismo, sembra riprendere l’opera con una donna nuda dai lunghi capelli dentro una “tagliata etrusca”, una strada scavata che univa il mondo terreno con quello dell’oltretomba, ma serviva anche da via idraulica, là dove l’acqua da sempre è vita.
L’acqua è anche in un’opera protagonista come specchio del passato dove un vecchio santone sembra avere preso forma umana scendendo dalla sua posa classica di statua mitologica nel cortile dei Musei Vaticani, in una sacralità trasversale dove non c’è Dio, ma un’umanità consapevole della sua forza nelle differenze, nell’alterità, nell’inusuale, nello straordinario, dunque magnifico.
C’è tanto di Caravaggio nelle opere di Basilè, quell’idea di uno specchio in cui l’uomo Narciso supera l’inganno e sa riconoscersi nel contemporaneo.
Un contemporaneo che ha la posa, la luce e la profondità dell’arte fiamminga del Cinquecento e del Seicento, rievocando un Oriente che ha da sempre saputo conservare una magia ed una contraddizione impastandole tra loro.
Da qui il titolo della mostra “Hybrida” che raccoglie contaminazioni di diversità impossibili che diventano realtà e quell’idea di Ubris greca che è la forza creatrice.
Una classicità che ritroviamo nell’ultima opera, in senso temporale, ricca di contaminazioni: una maschera dell’artista francese Muriel Nisse indossata dalla novella “Maria” con un abito dal set del “Vangelo secondo Matteo” girato da Pasolini nel 1964, ed un “Giuseppe” albino, quella sacra coppia che nel contemporaneo mostra tutta l’umanità che si porta dietro e dentro, dove la Madonna di azzurro ha solo la punta dei capelli, come moda contemporanea di tante donne di oggi che cercano della diversità una maniera di essere se stesse.
L’abito, ebbero l’abitare il contemporaneo, indossare lo spazio che ci circonda con tutte le sue contaminazioni e contraddizioni è la vera Bellezza.
“Hybridiamoci”, senza avere paura del diverso perché la nostra storia, la nostra arte, la nostra eleganza e la nostra cultura sapranno darci una nuova identità coerente con noi stessi, sembra il messaggio di Matteo Basilè.