Cultura e spettacoli - 01 marzo 2023, 16:29

Gli animali “speziali” delle Case Mazzanti

Gli animali “speziali” delle Case Mazzanti

Per tutto il 2021 il cantiere di restauro delle facciate delle case Mazzanti in piazza delle Erbe è  stato al centro di un coinvolgimento di quanti volessero conoscere “da vicino” quell’apparato pittorico così importante, un vero bene comune: così aprendosi alla città il cantiere diretto dagli  architetti Andrea Aloisi e Ferdinando Forlati ha accolto ed è stato accolto da molti veronesi, e non  solo addetti ai lavori. Una chiacchierata oggi con i due progettisti ci porta alla vista gli affreschi  rinvenuti sotto le logge prospicienti la piazza, forse meno visibili dei grandi apparati pittorici  sovrastanti, anche se i due architetti ci ricordano quell’idea di bellezza che è misura: «Il restauro non deve essere troppo evidente, sottovoce, valorizzare la percezione dell’insieme, a colpo d’occhio tutto deve rimanere com’era».  

La famiglia Mazzanti non era nobile, ma molto benestante, arriva da Ferrara a Verona a metà del  Quattrocento, probabilmente commercianti di spezie, acquistano dai Gonzaga una proprietà che  prima era degli Scaligeri, ovvero dove c’era il deposito dei grani per il fabbisogno della famiglia  scaligera e della città; i Mazzanti abitavano proprio sopra le botteghe (sopra il caffè Mazzanti per la  precisione), casa e bottega.  

Senza soffermarci sui noti affreschi della parte superiore, focalizziamo l’attenzione sul Loggiato delle case Mazzanti, meglio ancora su cosa c’era, cosa oggi possiamo vedere grazie al restauro.  Le Logge sono state realizzate nel Cinquecento, poggiandosi sulla facciata preesistente Trecentesca  del palazzo, quindi anche sull’apparato pittorico ad affresco che vi era.  

Alcune pitture trecentesche e quattrocentesche sono emerse in fase di restauro: ogni loggia nella  lunetta aveva dei disegni affrescati, probabilmente le insegne delle Spezierie che si affacciavano su  “Piazza delle Erbe”, pitture risalenti al periodo degli Scaligeri e pitture medioevali e rinascimentali  che si sovrappongono o si mischiano tra loro, in una bellissima narrazione fantastica di grande  valore che magari ci sfugge nel quotidiano.  

“Due Angeli” disegnati in una lunetta, e in un’altra un trigramma “IHS” sintesi della parola  “Cristo”: banalmente viene alla mente un’osteria “al Cristo” poco distante (oggi chiusa) e la  Farmacia Agli Angeli in corso Porta Nuova, parole e professioni che si evolvono e si ripetono nella  città, come fili di una narrazione antica e identitaria.  

Sono però i disegni di animali ad incuriosire, di fattezza precisa e fine, con colori ad affresco  delicati, riprendendo una sorta di Bestiario medievale dipinto: quella categoria di libri con testi che  descrivono brevemente animali reali o immaginari accompagnati da spiegazioni simboliche o tratte  dalla Bibbia, con bellissime miniature che li illustravano.

Quelli dipinti nella loggia erano le “insegne” delle botteghe degli Speziali (antiche farmacie),  ognuna associata ad una animale, ad un simbolo, ad un’allegoria: quest’ultima lega i disegni delle  lunette del loggiato con i grandi affreschi con figure allegoriche della facciata superiore dentro i riquadri dipinti da Alberto Cavalli, allievo di Giulio Romano, nella seconda metà del Cinquecento, un sottile filo rosso.  

“Due Ibis”, un’altra lunetta ancora, simbolo del bene e del male, sacro e profano, con il valore del  doppio, animale purificatore della terra perché si ciba di serpenti e carogne, ma anche proprio per  questo per esempio impuro per gli Ebrei ai quali è vietato cibarsi della sua carne. L’Ibis  genericamente era simbolo di rinascita perché associato ai cicli lunari e di fertilità, per questo  un’insegna significativa per una “spezieria”, sembra quasi dare il messaggio che ci si deve affidare  alla conoscenza dello speziale per non superare il limite tra bene e male, almeno quello fisico.  “Una mucca”, di una razza romagnola che nel Cinquecento è attestato fosse utilizzata nel veronese,  racconta del legame che la città ha sempre avuto con la campagna.  

E ancora, “un cervo” campeggia al centro della lunetta successiva.  

La Bottega all’Angelo, come la spezieria del Cervo dorato: qualche testimonianza è rimasta tra i  documenti sparsi che raccontano la storia dell’edificio e della piazza, ma anche in una tradizione  orale che negli anni Cinquanta del Novecento che vedeva sotto le logge la presenza di una oreficeria  “Il cervo dorato” probabilmente dove vi era prima la spezieria con lo stesso nome (sempre quel filo  rosso), quando i veronesi sapevano legarsi al passato facendolo diventare presente, come vocazione  innata alla valorizzazione. Anche attraverso il commercio.  

Infine “un Leone”, animale nobile associato alla figura di Cristo; come quello che, insieme a lonza e  lupo, Dante incontra nel canto primo dell’Inferno: sicuramente sarà passato da quelle “Spezierie”  quotidianamente nel suo soggiorno a Verona. 

Animali “speciali” che, da piazza delle Erbe, ritroviamo in molti luoghi della Verona Medioevale,  chiese e palazzi, facciate e pareti affrescate, e in quell'urbs picta Cinquecentesca che fu ben nota ai  viaggiatori dei secoli successivi. Tra altri, l’unicorno, simbolo di purezza, dipinto in un’allegoria  dell’Annunciazione, “Caccia all’unicorno in Hortus conclusus”, da Giovanni Maria Falconetto  intorno alla metà del 1500, in un lunetta della chiesa di San Giorgetto, uno dei due unicorni dipinti  rimasti visibili in Italia: allegoria, lunetta, animale fantastico, la città dipinta, sempre quel filo rosso  che cuce Verona e, per chi la sa leggere, diventa “sistema”, unicum.  

Gli Architetti Forlati e Aloisi, contaminati da questo mondo fantastico, sono andati oltre il restauro:  hanno pensato ad una installazione di video mapping che riutilizza i disegni delle case Mazzanti di  Pietro Nanin (1864) come evento per valorizzare l’intero apparato pittorico, progetto pronto ma che  non trova finanziatori. Anche questa è Verona.  

L’11 Luglio 2022 a Venezia, l’orchestra e il coro del Teatro “La Fenice” hanno portato i Carmina  Burana di Carl Orff in piazza San Marco, proiettando sulla facciata di una delle Procuratie le frasi  del canto in grafia medievale. 

Così, provate ad immaginare Piazza delle Erbe una sera d’estate, vuota di banchetti tavolini sedie e  ombrelloni (una volta l’anno si potrebbe fare, aumentando il valore del luogo), tutta l’illuminazione  artificiale della piazza spenta, solo fiaccole e candele, sulle facciate delle Case Mazzanti proiettati  con video mapping i disegni di Pietro Nanin che completano gli stralci di affreschi della parte alta  nell’angolo tra la piazza e corso Sant’Anastasia, illuminate le grandi allegorie del Cavalli, e la  loggia nella parte bassa, con le lunette che fanno risplendere il bestiario medievale. 

Magari l’orchestra e il coro della Fondazione Arena che eseguono i Carmina Burana e noi al centro  della scena urbana, un po’ spettatori un po’ attori, attoniti e con i brividi dalla meraviglia del  momento. 

Così quello Areniano sarebbe davvero un “Festival”, ovvero il coinvolgimento attivo della città, non  una programmazione chiusa nell’Anfiteatro, ma aperto ad abitanti e turisti, diffuso, e le case  Mazzanti con la tecnologia contemporanea ci farebbero indossare l’abito di questa città, quella  “marca” che ci fa essere abitanti, anche solo per un’ora.  

Ma queste sono solo idee da Marketing Territoriale, niente di serio. 

 

Daniela Cavallo

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