Per tutto il 2021 il cantiere di restauro delle facciate delle case Mazzanti in piazza delle Erbe è stato al centro di un coinvolgimento di quanti volessero conoscere “da vicino” quell’apparato pittorico così importante, un vero bene comune: così aprendosi alla città il cantiere diretto dagli architetti Andrea Aloisi e Ferdinando Forlati ha accolto ed è stato accolto da molti veronesi, e non solo addetti ai lavori. Una chiacchierata oggi con i due progettisti ci porta alla vista gli affreschi rinvenuti sotto le logge prospicienti la piazza, forse meno visibili dei grandi apparati pittorici sovrastanti, anche se i due architetti ci ricordano quell’idea di bellezza che è misura: «Il restauro non deve essere troppo evidente, sottovoce, valorizzare la percezione dell’insieme, a colpo d’occhio tutto deve rimanere com’era».
La famiglia Mazzanti non era nobile, ma molto benestante, arriva da Ferrara a Verona a metà del Quattrocento, probabilmente commercianti di spezie, acquistano dai Gonzaga una proprietà che prima era degli Scaligeri, ovvero dove c’era il deposito dei grani per il fabbisogno della famiglia scaligera e della città; i Mazzanti abitavano proprio sopra le botteghe (sopra il caffè Mazzanti per la precisione), casa e bottega.
Senza soffermarci sui noti affreschi della parte superiore, focalizziamo l’attenzione sul Loggiato delle case Mazzanti, meglio ancora su cosa c’era, cosa oggi possiamo vedere grazie al restauro. Le Logge sono state realizzate nel Cinquecento, poggiandosi sulla facciata preesistente Trecentesca del palazzo, quindi anche sull’apparato pittorico ad affresco che vi era.
Alcune pitture trecentesche e quattrocentesche sono emerse in fase di restauro: ogni loggia nella lunetta aveva dei disegni affrescati, probabilmente le insegne delle Spezierie che si affacciavano su “Piazza delle Erbe”, pitture risalenti al periodo degli Scaligeri e pitture medioevali e rinascimentali che si sovrappongono o si mischiano tra loro, in una bellissima narrazione fantastica di grande valore che magari ci sfugge nel quotidiano.
“Due Angeli” disegnati in una lunetta, e in un’altra un trigramma “IHS” sintesi della parola “Cristo”: banalmente viene alla mente un’osteria “al Cristo” poco distante (oggi chiusa) e la Farmacia Agli Angeli in corso Porta Nuova, parole e professioni che si evolvono e si ripetono nella città, come fili di una narrazione antica e identitaria.
Sono però i disegni di animali ad incuriosire, di fattezza precisa e fine, con colori ad affresco delicati, riprendendo una sorta di Bestiario medievale dipinto: quella categoria di libri con testi che descrivono brevemente animali reali o immaginari accompagnati da spiegazioni simboliche o tratte dalla Bibbia, con bellissime miniature che li illustravano.
Quelli dipinti nella loggia erano le “insegne” delle botteghe degli Speziali (antiche farmacie), ognuna associata ad una animale, ad un simbolo, ad un’allegoria: quest’ultima lega i disegni delle lunette del loggiato con i grandi affreschi con figure allegoriche della facciata superiore dentro i riquadri dipinti da Alberto Cavalli, allievo di Giulio Romano, nella seconda metà del Cinquecento, un sottile filo rosso.
“Due Ibis”, un’altra lunetta ancora, simbolo del bene e del male, sacro e profano, con il valore del doppio, animale purificatore della terra perché si ciba di serpenti e carogne, ma anche proprio per questo per esempio impuro per gli Ebrei ai quali è vietato cibarsi della sua carne. L’Ibis genericamente era simbolo di rinascita perché associato ai cicli lunari e di fertilità, per questo un’insegna significativa per una “spezieria”, sembra quasi dare il messaggio che ci si deve affidare alla conoscenza dello speziale per non superare il limite tra bene e male, almeno quello fisico. “Una mucca”, di una razza romagnola che nel Cinquecento è attestato fosse utilizzata nel veronese, racconta del legame che la città ha sempre avuto con la campagna.
E ancora, “un cervo” campeggia al centro della lunetta successiva.
La Bottega all’Angelo, come la spezieria del Cervo dorato: qualche testimonianza è rimasta tra i documenti sparsi che raccontano la storia dell’edificio e della piazza, ma anche in una tradizione orale che negli anni Cinquanta del Novecento che vedeva sotto le logge la presenza di una oreficeria “Il cervo dorato” probabilmente dove vi era prima la spezieria con lo stesso nome (sempre quel filo rosso), quando i veronesi sapevano legarsi al passato facendolo diventare presente, come vocazione innata alla valorizzazione. Anche attraverso il commercio.
Infine “un Leone”, animale nobile associato alla figura di Cristo; come quello che, insieme a lonza e lupo, Dante incontra nel canto primo dell’Inferno: sicuramente sarà passato da quelle “Spezierie” quotidianamente nel suo soggiorno a Verona.
Animali “speciali” che, da piazza delle Erbe, ritroviamo in molti luoghi della Verona Medioevale, chiese e palazzi, facciate e pareti affrescate, e in quell'urbs picta Cinquecentesca che fu ben nota ai viaggiatori dei secoli successivi. Tra altri, l’unicorno, simbolo di purezza, dipinto in un’allegoria dell’Annunciazione, “Caccia all’unicorno in Hortus conclusus”, da Giovanni Maria Falconetto intorno alla metà del 1500, in un lunetta della chiesa di San Giorgetto, uno dei due unicorni dipinti rimasti visibili in Italia: allegoria, lunetta, animale fantastico, la città dipinta, sempre quel filo rosso che cuce Verona e, per chi la sa leggere, diventa “sistema”, unicum.
Gli Architetti Forlati e Aloisi, contaminati da questo mondo fantastico, sono andati oltre il restauro: hanno pensato ad una installazione di video mapping che riutilizza i disegni delle case Mazzanti di Pietro Nanin (1864) come evento per valorizzare l’intero apparato pittorico, progetto pronto ma che non trova finanziatori. Anche questa è Verona.
L’11 Luglio 2022 a Venezia, l’orchestra e il coro del Teatro “La Fenice” hanno portato i Carmina Burana di Carl Orff in piazza San Marco, proiettando sulla facciata di una delle Procuratie le frasi del canto in grafia medievale.
Così, provate ad immaginare Piazza delle Erbe una sera d’estate, vuota di banchetti tavolini sedie e ombrelloni (una volta l’anno si potrebbe fare, aumentando il valore del luogo), tutta l’illuminazione artificiale della piazza spenta, solo fiaccole e candele, sulle facciate delle Case Mazzanti proiettati con video mapping i disegni di Pietro Nanin che completano gli stralci di affreschi della parte alta nell’angolo tra la piazza e corso Sant’Anastasia, illuminate le grandi allegorie del Cavalli, e la loggia nella parte bassa, con le lunette che fanno risplendere il bestiario medievale.
Magari l’orchestra e il coro della Fondazione Arena che eseguono i Carmina Burana e noi al centro della scena urbana, un po’ spettatori un po’ attori, attoniti e con i brividi dalla meraviglia del momento.
Così quello Areniano sarebbe davvero un “Festival”, ovvero il coinvolgimento attivo della città, non una programmazione chiusa nell’Anfiteatro, ma aperto ad abitanti e turisti, diffuso, e le case Mazzanti con la tecnologia contemporanea ci farebbero indossare l’abito di questa città, quella “marca” che ci fa essere abitanti, anche solo per un’ora.
Ma queste sono solo idee da Marketing Territoriale, niente di serio.