Al numero 20 di via Pallone, nel cuore di Verona, c’è un piccolo gioiello che non ti aspetti. Un’oasi del “buon bere” dove è facile perdere lo sguardo tra le decine di bottiglie disposte sulle pareti e provenienti da tre diverse regioni – Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino – e dalle cantine di oltre 400 soci. Su tali forze può contare il Consorzio Tutela Vini DOC Delle Venezie che, da febbraio, può poggiare anche sull’esperienza e la visione del suo nuovo direttore, Flavio Innocenzi, che del cavallo di battaglia del Consorzio, il Pinot Grigio, è profondamente innamorato.
È stato proprio lui ad accoglierci nella sede del gruppo, tra una riunione e l’altra, e a parlarci di quello che, durante una chiacchierata davanti a un bicchiere di vino (rigorosamente Pinot Grigio), è stato definito un “Consorzio a dimensione umana”: una grande famiglia unita dalla passione per un prodotto di eccellenza del Triveneto che merita e necessita di essere tutelato e riconosciuto. Una mission, questa, che Innocenzi ha fatto sua sin da subito, coniugandola a quanto di più indispensabile ci sia per comunicare l’unicità e la storia di questa DOC: una visione internazionale.
D’altro canto Innocenzi, veronese classe 1970, è arrivato al Consorzio dopo un percorso formativo e professionale di impronta cosmopolita, che lo ha portato a vivere parte della sua vita a Bruxelles, a parlare cinque lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese, ndr) e a farsi paladino, negli anni, di un'altra specialità veneta, l’Asiago DOP, diventandone direttore del Consorzio dal 2010 al 2018 e poi dal 2021 a ora.
Flavio, partiamo da lei: ha avuto un percorso di formazione molto variegato e particolare, che va dalle relazioni internazionali e diplomatiche al marketing. Cosa l’ha portata ad esplorare tanti campi diversi?
Sono laureato in Scienze Internazionali Diplomatiche e a ridosso dell'università ho fatto dei corsi di specializzazione per lavorare nelle organizzazioni internazionali. Poi ho preso la strada aziendale e ho cominciato a fare export in diverse aziende. Nel corso della mia vita professionale, che dura da ormai 28 anni, ho avuto una prima esperienza in Fiera a Milano, nel dipartimento di Marketing Strategico Internazionale. Poi ho avuto un’importante esperienza al gruppo AIA, ho lavorato per 12 anni e mezzo a Veronafiere e questo mi è stato utile poi per il mondo consortile, perché trovo che le fiere e i Consorzi abbiano qualche cosa in comune: sono degli aggregatori di sistema, soggetti che possono influenzare lo sviluppo di un ecosistema industriale o comunque di un ecosistema produttivo.
Lei da febbraio 2023 è diventato direttore del Consorzio Tutela Vini DOC delle Venezie. Come si è avvicinato al mondo vitivinicolo?
Diciamo che da vent'anni a questa parte, avendo lavorato a Veronafiere, ho cominciato ad occuparmi del mondo vitivinicolo, ad appassionarmi e poi a studiarlo. È stata una strada di avvicinamento naturale perché a un certo punto è successo che abbiamo avuto l'opportunità di combinare l'esperienza nel mondo delle indicazioni geografiche con le esperienze nel mondo fieristico e vitivinicolo.
Lei oltre al Consorzio Tutela Vini DOC delle Venezie è direttore anche del Consorzio Tutela Formaggio Asiago DOP. Come si fa a portare all’eccellenza prodotti come il Pinot Grigio e l’Asiago, in un mondo in cui la concorrenza è così alta, anche all’estero?
Con un nuovo modello di marketing che io definisco il “marketing delle due A”: algoritmi e anima. Il paradigma della tradizione e dell'origine da soli non bastano più. La promozione non basta più per i nostri prodotti, anzi la promozione intesa come “taglio prezzo” distrugge il valore. Quindi il fatto che la distribuzione usi prodotti a denominazione come prodotti civetta per le proprie private label è una pratica discutibile. Questa situazione è entrata in contrasto con una sensibilità delle persone e dei consumatori che è profondamente cambiata. E quindi se noi continuiamo a parlare di tradizione, origine, territorio non si riesce ad essere accattivanti. Di conseguenza dobbiamo usare nuovi parametri e nuove logiche comunicative: dobbiamo raccontare il prodotto al di là degli schemi consuetudinari.
Lei è molto attento all’evoluzione del marchio e del marketing, quali sono gli obiettivi di questo nuovo incarico. Dove vuole arrivare con il consorzio?
Il Consorzio nasce aperto al mercato e quindi ci sono due ricette di base molto interessanti: parte da caratteristiche di essenzialità e di specificità, ma guarda fuori e il 95% circa di export lo documenta. Al tempo stesso c'è la possibilità anche di crescere un po' di più e acquisire quella notorietà che merita anche in Italia. Oggi iniziamo questo percorso: abbiamo tutte le carte in regola e una squadra che sta crescendo e intende strutturarsi. Questi sono i motivi anche che mi hanno portato qui: ci credo molto nella possibilità di sviluppo di questa denominazione e credo che sia nell'interesse del sistema vitivinicolo del Nord Est e italiano far crescere questa denominazione perché ha la massa critica per fare la differenza sul mercato, con un Pinot Grigio che è uno stile sempre più imitato nel mondo.
Cosa significa per lei il Pinot Grigio?
È il vino italiano nel mondo, la tradizione italiana, uno stile di vita.
Lei spesso viaggia per lavoro in giro per il mondo. Ha mai trovato un luogo che le ha fatto dire “qui si sta meglio che in Italia” a livello agroalimentare?
Io non sono per l'approccio autocelebrativo. Penso che spesso abusiamo nel dirci che siamo bravi e i più bravi e qui sbagliamo. Credo che invece abbiamo molto da imparare e che in ogni area del mondo ci siano delle specificità e delle territorialità. Penso però che l'approccio locale, la ricerca di prodotti di prossimità sia in fase di crescita nel mondo perché siamo rimasti scottati dal fatto di non trovare prodotti al supermercato e le persone forse sono anche stanche di mangiare cibo che non sanno cosa contenga e cercano qualche cosa di più. Io credo nel modello produttivo delle indicazioni geografiche, perché è un modello produttivo, economico e culturale al tempo stesso. E quindi non dobbiamo pensare di essere gli unici al mondo o i più bravi, perché questo primato va difeso ogni giorno non ce lo meritiamo per diritto assoluto. In fondo non si parla del “Made in Germany”, però la Germania fattura tre volte più di noi nell'alimentare o i francesi hanno fatturati e margini superiori, quindi abbiamo margini di crescita.
Abbiamo visto che in Irlanda preso saranno poste delle etichette sulle bottiglie di vino, per informare i consumatori dei rischi per la salute. Secondo lei i prodotti italiani sono in pericolo?
Io ritengo di no. Ciò non toglie che abbiamo l'obbligo di difenderci e di difendere una produzione importante, spiegando che alla fine un consumo moderato non è dannoso per la salute. Poi è curioso che questo fenomeno parta dall'Irlanda, dove mediamente qualche eccesso c'è, in termini di consumo di alcolici e non di vino mi risulta. Questa cosa deve far riflettere sul fatto che spesso sono prese di posizione legate a interessi specifici. Non possiamo certo paragonare il vino al tabacco, perché sono due mondi diversi.
Domanda spinosa: top 3 dei suoi vini preferiti?
Il Pinot Grigio, di sicuro, e non è una scelta opportunistica: ci credo davvero (ride, ndr). Io amo molto i vini bianchi fermi, anche francesi. In seconda posizione il “Muscadet sûr lie”, vino bianco della parte occidentale della Loira e, infine, il Barsac AOC, vino bianco liquoroso vicino alla famosa zona di Sauternes nella regione di Bordeaux.