Le etichette generazionali che vanno così di moda negli ultimi anni ci hanno abituati a classificare le persone: i “boomers”, quelli nati negli anni del boom economico, ma poco avvezzi all’uso delle nuove tecnologie; i “millennials”, i cosiddetti nativi digitali nati in un’epoca di crisi economica. Infine ci sono loro, gli “zoomers”. La loro è la generazione nata con i cellulari in mano, svegli e spigliati, ma frutti, purtroppo, di un’epoca contrassegnata da pandemie, guerre e pericoli virtuali. A raccontare il disagio di una generazione spesso fraintesa non potevano che essere i ragazzi che di quella “Gen Z” fanno parte e, a dargli voce, è stato uno dei colossi della tecnologia moderna: Samsung. Tra i giovanissimi che hanno partecipato al progetto formativo, dal titolo “LA VOCE della tua generazione”, c’era anche Adele De Manincor, studentessa veronese di 18 anni, che ha colto al volo l’occasione di creare studiare e creare un podcast insieme ad altri 11 ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia.
Adele, come sei entrata a far parte del progetto?
Sono venuta a conoscenza di questo progetto dalle stories di Giulia Stabile, la ballerina che ha vinto “Amici” nel 2021. Mi sono fermata a vedere di cosa parlava e mi ha interessata subito, anche perché ero in un periodo della mia vita in cui avevo voglia di dire qualcosa di esprimermi, ma non sapevo come dirlo e quindi quella mi è sembrata un'ottima occasione. Ho quindi inviato un testo e un file audio senza alcuna aspettativa e dopo un mese mi hanno contattata. Il 25 ottobre è iniziata la prima lezione.
Come funzionavano le lezioni?
Facevamo lezioni online di due ore l’una e, spesso, ci chiamavamo tra noi ragazzi per confrontarci. Ci hanno insegnato cos’è un podcast e come si realizza, ma abbiamo anche fatto lezioni più “psicologiche”. Alla fine ci siamo trovati tutti a Milano per registrare le puntate.
Cosa volevate raccontare?
Noi volevamo raccontare, in primis, le nostre esperienze perché avevamo tutti qualcosa da dire. Però queste esperienze dovevano essere raccontate in modo tale che i nostri coetanei ci si potessero ritrovare in qualche modo, perché alla fine era questo lo scopo del podcast: riuscire a far sentire meno soli tutti quei ragazzi che magari si sono trovati nelle nostre stesse situazioni.
La vostra è una generazione particolare, spesso fraintesa…
Sotto certi punti di vista c'è sicuramente qualcosa di positivo perché la nostra è la generazione dei “social”, del mondo di internet, con un sacco di opportunità: basta vedere gli influencer. Si sono creati lavori che una volta non esistevano, però ci sono molti lati negativi perché spesso veniamo visti dagli adulti come quelli che non hanno voglia di fare, che stanno sempre attaccati al telefono. Non mi sento di dire che sia colpa degli adulti, anche perché spesso siamo proprio noi giovani che evitiamo di esporci proprio per paura di non essere capiti o ascoltati.
Cosa hai raccontato tu nel podcast?
Io e il mio gruppo ci siamo soffermati sulle passioni. C'è chi ha parlato della musica, chi della fotografia. Io ho parlato della danza perché è molto importante nella mia vita: mi fa stare bene. E quindi ho deciso di parlarne nel podcast. Volevo far capire che non c'è per forza solo la parola per esprimersi, ma ognuno può trovare il suo modo particolare.
Il momento più bello di questa esperienza?
Innanzitutto ho conosciuto Giulia Stabile (ride, ndr). Ma forse i ricordi più belli sono legati alle amicizie che si sono create con i ragazzi e le ragazze del progetto: è stato bello condividere le cose più semplici, come le serate in compagnia a fine giornata dopo aver registrato. Ormai siamo diventati tutti amici.