Il vino preferito dell’imperatore Augusto era il Valpolicella, esiste un antenato della birra e anche della Pastissada de Caval. Queste e tante altre curiosità sono emerse da un complesso studio che ha preso avvio da una semplice domanda: “Cosa mangiavano i veronesi nell’antichità?” La risposta arriva da un team di esperti, da archeologi a biotecnologi, provenienti dai migliori centri di ricerca italiani e ha dato vita al progetto “In Veronensium mensa. Food and Wine in ancient Verona”. A coordinare l’equipe Patrizia Basso, archeologa e docente di Archeologia Classica all’Università degli Studi di Verona.
Una ricerca curiosa non solo dal punto di vista accademico, come nasce l’idea?
Il progetto prende forma da un confronto con il mio collega Fabio Saggiolo, medievista: ci siamo interrogati sulle profonde radici dell’enogastronomia veronese, apprezzata a livello internazionale e anche nel mondo antico. Così, abbiamo deciso di strutturare un’equipe di ricerca per studiare cosa mangiavano i veronesi nella Preistoria, in epoca Preromana e nel Medioevo. È nato “In Veronensium mensa. Food and Wine in ancient Verona”, progetto di eccellenza dell’Ateneo condotto dal dipartimento di Culture e Civiltà in stretta collaborazione con il dipartimento di Biotecnologie, la Soprintendenza archeologia, beni culturali e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza; prezioso anche il contributo del Museo di Storia naturale di Verona, del Centro Ambientale archeologico Pianura di Legnago, dell’università di York e dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona. Fondamentale il supporto di Fondazione Cariverona che ha creduto e finanziato la ricerca. I risultati sono stati resi noti in tre incontri nel mese di marzo e, in una giornata, sono state ricreate e assaggiate le antiche pietanze. Un momento di condivisione e di scoperta, una vera e propria esperienza di cultura del cibo.
Quali sono le grandi novità del progetto?
La ricerca, che ha coinvolto oltre 30 persone tra esperti, docenti e giovani ricercatori, si è concentrata sulle abitudini alimentari dei veronesi nel mondo antico cercando di individuare coltivazioni, lavorazione dei prodotti, metodi di conservazione, cottura e consumo. Attraverso analisi innovative abbiamo studiato utensili e strumenti, gli spazi di stoccaggio, fino alle cucine e ai contenitori; abbiamo applicato analisi archeobotaniche (studio di pollini nel terreno) e sui macro-resti (semi, vinaccioli, legno). Importanti novità sono emerse dall’impiego innovativo degli isotopi grazie ai quali abbiamo esaminato ossa umane nelle necropoli per capire se i nostri antenati mangiavano carne, cereali o altro. I risultati ottenuti sono stati poi confrontati con numerosi testi e fonti.
Abbiamo scoperto che a Verona si praticava un’agricoltura progredita fin dall’Età del Bronzo (dal 3400 a.C. al 1100 a.C. circa) improntata soprattutto su produzione e consumo di cereali come orzo, farro, miglio e panìco che i romani pestavano nel mortaio per preparare una specie di polenta.
Numerose le tracce di ovini, diffusi fin dalla Preistoria: i nostri antenati mangiavano prima le capre mentre le pecore venivano fatte invecchiare per massimizzare la produzione di latte e lana. Allo stesso modo, anche i bovini venivano macellati piuttosto tardi perché erano sfruttati più possibile come forza lavoro. Le prime preparazioni a base di carne di maiale risalgono, invece, all’epoca pre-romana i cui resti sono stati trovati nella necropoli di Gazzo Veronese dove ho scavato per lungo tempo, dal 2014 al 2018: sono presenti resti di pietanze e scheletri di piccoli maiali da compagnia, un po’ come di moda oggi. Uno dei ritrovamenti più interessanti è un recipiente con coperchio contenente ossa di cavallo e tracce di vino: si tratta dell’antenato di uno stufato di cavallo, molto diffuso nella cucina veronese così come la carne equina le cui prime ricette risalirebbero all’epoca romana.
La dieta degli antichi veronesi è quindi a basa di carne, con cosa veniva accompagnata?
Una dieta proteica che, oltre ai cereali lavorati come pani e polente, si arricchisce con la frutta che, sulle tavole dei nostri antenati, accompagna la pietanza principale, ruolo che noi, oggi, assegniamo invece alla verdura. Fichi e mele sono i condimenti principali usati per amalgamare e insaporire donando al piatto un gusto agrodolce, il più amato dai romani. Nessuna traccia di olio, solo grasso animale già impiegato per ungere tegami resi antiaderenti. Plinio racconta che con la frutta si realizzavano anche bevande fermentate ed è stato rinvenuto un colino con tracce di miglio, frutta e cera vegetale: pensiamo si tratti dell’antenato della birra.
Verona ha un forte legame con il mondo del vino ma quanto è antico?
Non è solo antico ma è anche di pregio perché, mediante una serie di complesse ricerche, siamo arrivati alla conclusione che, con molta probabilità, il vino preferito dall’imperatore Augusto e quello più richiesto sulle tavole dei patrizi, è il vino della Valpolicella, un’eccellenza già in questa epoca. Inoltre, lo storico Apicio autore di uno dei più antichi libri di ricette pervenuti, racconta di un vino veronese denso e dolce che fa impazzire tutta Roma: pensiamo sia la prima testimonianza di Recioto. Abbiamo esaminato vinaccioli, legni, torchi e calcatorie (vasche di pigiatura) riuscendo ad estrarre il DNA di due antiche varietà di vino veronese. È sul filone dell’enologia che stanno proseguendo le nostre ricerche e il prossimo obiettivo è rintracciare il DNA del vino anche nei reperti di Negrar. Un lavoro complesso ma entusiasmante perché in grado di testimoniare il profondo legame tra cibo e territorio che passa per una cultura alimentare che è senso di appartenenza.