Storie di persone - 02 maggio 2023, 10:02

Don Ambrogio, il prete "tiktoker" che piace alla Gen Z

Don Ambrogio, il prete "tiktoker" che piace alla Gen Z

La sua voce rassicurante e pacata, le risposte sagaci alle domande "scomode" e una forte attenzione ai trend del momento. Sono questi gli ingredienti che Don Ambrogio Mazzai, prete veronese, ha miscelato fino a ottenere un profilo TikTok da 360mila followers. Nato un po' per gioco, un po' per sfida, l'account è diventato presto virale, portando Don Ambrogio a pubblicare anche un libro, Upsy Daisy. Le domande che non hai mai fatto a un prete.

Come si è avvicinato al mondo della Chiesa, prima che a quello social?

Grazie alla mia famiglia. Sin da piccolo mi hanno infatti educato a questo mondo, prima come chierichetto, poi come animatore in parrocchia e nel coro della chiesa. Poi ho cominciato il seminario, poi intorno ai 18 anni ho cominciato a interrogarmi su cosa volessi fare della mia vita, e ho capito che questa era la strada più giusta per me.

Quindi possiamo dire che la storia della vocazione è vera?

Sì, non è una cosa immediata. La tua strada la capisci con il tempo e con l'esperienza, perché è quando ti metti in gioco che ti rendi conto se la tua scelta ti dà gioia. Dopotutto, il Signore ci vuole felici, e quindi scoprire la volontà del Signore per la nostra vita è scoprire dove c'è la nostra vera felicità.

Sappiamo come comunica con le persone e con i giovani, ma come comunica con Dio?

La nostra comunicazione con Dio è la preghiera, tramite la quale poniamo domande e riceviamo risposte. Queste ultime possono trovare luogo nelle Scritture, ma anche dentro di noi, attraverso quello che ci ispira, e per mezzo dello Spirito Santo, che a volte ci fornisce intuizioni e idee che non sono nostre. A volte, durante l'omelia della domenica, mi escono delle espressioni e dei ragionamenti che non mi ero preparato, ma che inducono anche me alla riflessione. Queste situazioni devono per forza provenire dal Signore, è lui che ci parla per mezzo di intuizioni di cui non comprendiamo l'origine ma che ci colpiscono profondamente.

Perché secondo lei c'è poco interesse da parte dei giovani verso la religione?

Quando sei riempito da stimoli diversi, ti senti sazio. Se una persona si riempie di esperienze emozionali adrenaliniche per soddisfare delle piccole voglie momentanee, non avrà più l'input necessario per cercare qualcosa di più profondo. Purtroppo il mondo occidentale in cui viviamo ci distoglie dalla ricerca della spiritualità, continuando a proporci prodotti di consumo che ci appagano momentaneamente e ci rendono dipendenti dai beni materiali, rendendoci succubi di un sistema economico che ci vuole consumisti al massimo.

E qui entra in gioco lei. Come si comunica la religione ai giovani?

Partendo dalla loro vita e utilizzando il loro linguaggio. Non posso pensare di rivolgermi a una comunità giovane con un trattato di dogmatica filosofica o teologia, perché non tutti hanno gli strumenti necessari per capirlo. Io, quindi, racconto semplicemente la mia vita. Non voglio convincere nessuno che la mia idea sia migliore della loro, posso però far loro vedere che, vivendo così, io sto bene. Dopotutto è stato questo a dare l'input a me: vedere l'intensità e la gioia con cui vivevano le persone di chiesa, nonostante le difficoltà. Per Una persona è dunque invogliata perlomeno ad ascoltarti ed eliminare le diffidenze.

Per avvicinarsi a una comunità giovane, non si possono non affrontare anche le tematiche a cui essa è più attenta, penso per esempio al mondo LGBTQ+. Tematiche sulle quali la Chiesa è sempre stata piuttosto conservatrice...

Più che conservatrice, direi chiara. La nostra società si evolve in continuazione, quando cambiano le epoche cambia il modo di pensare, contagiato anche dalle culture dell'estero. Gli Stati Uniti hanno influenzato parecchio il nostro modo di ragionare e la nostra cultura, per esempio. La Chiesa non segue le mode di pensiero, e non segue i ragionamenti che provengono dai cambiamenti culturali. Si fonda unicamente sugli insegnamenti del Signore, che non intendono escludere le persone, ma semplicemente guidarle verso la strada della serenità e della pace.

Nel linguaggio, soprattutto dialettale, trova ampio spazio la bestemmia. Come si pone lei, da prete, verso questo tipo di linguaggio, e da dove nasce secondo lei l'esigenza di bestemmiare?

Secondo me è un po' una questione di emulazione: la senti dire da qualcuno e quindi lo vuoi fare anche tu. Il linguaggio che noi utilizziamo, però, plasma anche il nostro modo di essere e di pensare. Quindi, se sono abituato a imprecare quando subisco una determinata azione, tenderò a fare lo stesso anche con le persone, aggredendole verbalmente. Il nostro linguaggio, dunque, conduce a determinati atteggiamenti e azioni conseguenti, e per questo noi dobbiamo stare molto attenti. Solo alterando il linguaggio imparo anche a educare poi i miei atteggiamenti, il mio modo di pensare e di agire in tutti gli altri ambiti della vita.

Adesso cambierei registro, chiedendole qual è la giornata tipo di un prete?

Beh, un prete ha senza dubbio una giornata molto particolare. Fino a due anni fa vivevo in parrocchia, avevo dunque una routine abbastanza fissa: la celebrazione della messa la mattina, poi la visita agli anziani o le mie attività pastorali, e infine tutti i giorni avevo riunioni o incontri con i ragazzi. Ora è diverso, ho una "tabella di marcia" ancora più impegnativa. Mi alzo verso le 5.30, che è un momento per me di grande quiete dove ho la possibilità di pregare con calma. Al mattino, dopo la celebrazione eucaristica, ho lezione, perché sto frequentando la facoltà di Comunicazione all'università. Al pomeriggio sono impegnato in vari incontri in parrocchia o nelle scuole, spesso anche fuori regione. Sono in tanti infatti a contattarmi per attivare un dialogo e un confronto: mi piace incontrare le persone, penso sia importante sfruttare quest'opportunità per testimoniare l'avventura che sto vivendo.

Studia comunicazione, quindi la domanda è d'obbligo: ha un piano editoriale per i suoi contenuti o si lascia ispirare?

Il detto dice "lo scarpolino ha sempre le scarpe rotte". Non sono tanto bravo per quanto riguarda i miei social, non ho una vera e propria strategia comunicativa. Non ho il tempo materiale in realtà per pianificare, sui social in realtà non dedico tutto questo tempo, anche se da dietro lo schermo può sembrare che io sia sempre attivo. Mi lascio ispirare dalla vita che vivo, dalle persone che incontro e dalle loro storie.

Guarda l'intervista:

Valentina Ceriani

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