Se ne è iniziato a parlare da gennaio 2023 e forse anche prima. L’hype per questo film su Barbie, la bambola bionda targata “Mattel”, era alle stelle e, finalmente, lo scorso 20 luglio è uscito in tutte le sale cinematografiche italiane. Scritto da Greta Gerwig e Noah Baumbach - compagni non solo di sceneggiature, ma anche nella vita - e diretto dalla stessa Gerwig, il film ha reclutato alcuni tra gli attori più amati di Hollywood e vere e proprie icone della musica pop mondiale per la colonna sonora. Cosa poteva andare storto?
TRAMA - Spoiler Alert
Barbie Stereotipo (Margot Robbie) vive a Barbieland insieme alle altre Barbie e ai loro Ken. La società è in mano alle donne che ricoprono tutti i ruoli istituzionali e di spicco, mentre gli uomini – i Ken – vivono, di fatto, in funzione delle Barbie, ma senza ruoli specifici: sono “solo i Ken”, come viene ricordato spesso durante il film. Tutti i giorni sembrano destinati ad essere i “giorni più belli di sempre”, fino a quando Barbie inizia ad avere pensieri di morte e depressione. Da quel momento, tutto cambia: la bambola è costretta ad andare in missione nel mondo reale per trovare la bambina che sta giocando con lei e capire cosa non va. Con lei ci sarà il suo fedele Ken (Ryan Gosling), che scoprirà, nel mondo reale, il concetto di “patriarcato”, dando il via a una trama parallela a quella principale, che vede Barbie impegnata nella ricerca della bambina, che si rivelerà essere un’adulta, Gloria (America Ferrera), e anche di sé stessa.
ANALISI
Non si può dire che in questi 114 minuti non ci sia stato spazio per le risate, a partire dalla prima scena, con la rievocazione dell’iconica apertura di “2001: Odissea nello spazio”, con Margot Robbie al posto del monolite e le bambole dei neonati battute per terra dalle bambine. Il film aveva iniziato a carburare bene: tanto rosa, come doveva essere, tanti colori pastello, tante scene divertenti. Questo fino a metà pellicola. Da lì in poi le promesse che avevano portato tante persone al cinema, sono state disattese.
Partiamo dalla debolezza della trama, ben lontana dall’essere qualcosa di originale, visto il meccanismo trito e ritrito dell’eroe che va in un altro mondo per salvare il suo. Ma i principali fattori di disturbo, a mio avviso, sono tre: in primis c’è l’arrivo di Barbie nel mondo umano: nessuno, quando la vede, fa una piega, tantomeno Gloria, la donna che si rivelerà essere la sua proprietaria. Una Barbie umana? Che problema c’è? E già questo sembra strano. Certo, non strano quanto la falsa autocritica di Mattel - che ha voluto e prodotto questo film – rappresentata come un’azienda ipermaschilista in cui i dipendenti sono rinchiusi in uffici grigi e tristi (in aperto contrasto con il mondo colorato di Barbie) e sono trattati alla stregua di macchine. E poi c’è Ken, che scopre nel mondo reale il patriarcato e lo esporta a Barbieland assoggettando tutte le Barbie ai rispettivi fidanzati, trasformando gli uomini in stereotipi farciti di machismo, misoginia e “mansplaining” e le donne in schiave e oggetti. Ed eccolo qui il risultato intorno al quale il film finisce per fare perno: Barbieland inizia ad assomigliare sempre di più al mondo degli umani. Questo, però, solo finchè le Barbie non rinsaviscono e istituiscono nuovamente il “matriarcato” grazie a un banale e superficiale monologo di Gloria - che nel frattempo è arrivata nel mondo delle bambole - sulle angherie e lo stress ai quali le donne vengono sottoposte ogni giorno da parte del mondo e degli uomini. Tutto è bene ciò che finisce bene? E invece no, non è finita: Barbie finalmente, capisce di non voler più essere uno stereotipo, ma una donna vera e imperfetta e, grazie alla “benedizione” del fantasma della creatrice della bambola, Ruth Handler (interpretata da Rhea Perlman), ci riesce: trova sé stessa e abbandona i tacchi alti di Barbie per delle (inquadratissime) Birkenstock.
Riassumendo: da metà film il divertimento diventa ridicolaggine, i buoni intenti femministi, ai quali Gerwig ha sempre fatto fede, diventano superficiali e banali e tutto diventa un’enorme operazione di “product placement”. La prova? Sul sito della Mattel stando vendendo letteralmente qualsiasi cosa comparsa nel film e lo stanno facendo con grandi risultati.
C’è chi questo epilogo deludente lo aveva “profetizzato” da tempo e ora si trova a gongolare delle proprie doti di preveggenza, ma la verità - è innegabile - è che questo Barbie è stato un successo: in Italia ha incassato 7.7 milioni di euro in soli quattro giorni e negli Stati Uniti ha già registrato la vertiginosa cifra di 155 milioni di dollari, senza contare l’indotto che arriverà dalla vendita dei gadget. Merito degli attori? Merito del marketing (ricordiamo che Google diventa rosa se si cerca “Barbie film)? Merito della colonna sonora di Dua Lipa? Forse bisogna sommare tutto e dare atto alla Gerwig che ci ha provato a fare di uno stereotipo d’eccellenza come Barbie un’icona femminista e un inno alla normalità. Ma con la Mattel alle spalle, purtroppo, risulta tutto forzato in una direzione che, probabilmente, non era quella ipotizzata all’inizio.
In conclusione: un film godibile, simpatico, estremamente “memabile”, ma inesorabilmente vuoto.