Ventisei anni, di cui venti passati in sella a una moto. Yuri Pasqualini è nato con il rumore rombante del motore nel sangue, una passione ereditata dal padre, che lui ha convertito in una disciplina a tempo pieno, il motocross. Un quarto di secolo (più uno), fondatore di una delle prime scuole di motocross a Verona, Yuri è inarrestabile e pieno di ambizioni. Il sogno nel cassetto? I mondiali, l'insegnamento ai più giovani e una vita piena di adrenalina, in sella alla sua Honda CRF 450 cc.
Da quanto tempo fai motocross?
Ho iniziato all'età di 5 anni. La passione per le moto me l'ha trasmessa mio padre. È stato amore a prima vista, ho iniziato subito con i primi allenamenti in pista e a conoscere amici sul campo, finché all'età di 9 anni sono partito con il mio primo campionato italiano, era il 2006, e da lì è partito tutto, fino alle gare di oggi, insieme al Martin Racing Team di Padova.
Diciamo quindi che hai sempre avuto il supporto pieno dei tuoi genitori...
Sì, sarebbe quasi impossibile il contrario. Si tratta di uno sport che richiede tanto impegno e tanti sacrifici, a livello economico e per via di tutte le trasferte di più giorni e degli allenamenti che devo fare. Soprattutto quando ero più piccolo, senza di loro non avrei potuto praticare questo sport.
Come ti prepari, sia fisicamente che mentalmente, prima di una gara?
Oltre agli allenamenti in moto, c'è dietro una preparazione atletica in palestra seguita da uno staff tecnico. In moto ci vado tre volte a settimana, mentre due giorni vado in palestra. Anche il fattore mentale è molto importante, bisogna essere costantemente concentrati.
Prima dicevi di aver iniziato con i campionati da giovanissimo. C'è un'esperienza che ti è rimasta nel cuore?
Direi la prima volta che mi hanno convocato a rappresentare la regione Veneto a una competizione nazionale con i migliori esponenti del motocross di ogni regione. Poi sicuramente vari podi nel campionato minicross e i primi risultati a livello regionale. Era tutto nuovo per me, ero più piccolo, e ogni emozione era fortemente amplificata.
E invece l'incidente che non dimenticherai mai?
Quando si è piccoli gli incidenti capitano spesso, le ossa sono più fragili e se cadi a velocità sostenute sicuramente ti fai male. Diciamo che colleziono una serie di medaglie anche in questo (ride, ndr). L'incidente che ricordo più nitidamente è stato l'anno scorso. A metà campionato mi sono rotto i legamenti del ginocchio e sono dovuto rimanere fermo tutta la stagione. Sono stati mesi duri di recupero e convalescenza.
Hai ottenuto vari podi a livello regionale e nazionale: e a livello europeo?
Ho fatto qualche gara in Europa, ma non campionati completi.
Ora è il turno di una domanda immancabile: cosa provi quando sei in sella?
Sicuramente tanta adrenalina. È sempre divertente: è uno sport, ma stai guidando un mezzo molto potente e quindi ti senti invincibile e pieno di energia.
Nella vita quotidiana guidi la moto o è una passione relegata allo sport?
Non la uso, la uso già abbastanza in allenamento.
Ora lavori molto anche con i bambini: come mai hai scelto di intraprendere questo percorso?
A mio tempo, quando ero piccolo, ero circondato da persone che mi hanno seguito e guidato nella disciplina. Ho quindi deciso di regalare quest'esperienza anche ai bambini di oggi. Mi ricordo quello di cui avevo bisogno io e quello che invece cercavano i miei genitori, ed è quello che mi impegno a fornire anche alle famiglie che si approcciano a questo sport. Ho creato quindi un ambiente simile a quello che ho vissuto io, con l'obiettivo di aiutare genitori e bambini a divincolarsi in questo mondo. Credo tanto nell'insegnamento della disciplina, che non è meramente volto a trasformare questi giovani atleti in campioni, ma mira a insegnare loro i valori del sacrificio, della condivisione e della disciplina.
E lo fai tutti i giorni nella scuola creata da te...
Ho creato una scuola, la New Generation e la relativa squadra. Abbiamo un piano allenamento di una volta a settimana, nel quale porto questi ragazzi nelle varie piste e li alleno. Nel motocross non esiste infatti un vero e proprio campo privato, come negli altri sport, ma ci si allena su varie piste. Io insegno ai ragazzi e attorno a me c'è uno staff che si occupa di alcuni aspetti gestionali e organizzativi
C'è parità numerica tra uomini e donne che praticano questo sport?
Sì, c'è un campionato interamente femminile. Nella mia squadra, che va dai 9 ai 18 anni, non ci sono ragazze, ma è una disciplina che sta prendendo piede sempre di più anche tra di loro.
Qual è il tuo sogno, ora?
I miei obiettivi più concreti riguardano soprattutto il lavoro con i bambini, e poter realizzare qualcosa di importante che li aiuti a crescere. Dedico molto tempo a questo progetto e ci credo, è una bella realtà.
A quando i mondiali?
Incrociamo le dita! (ride, ndr).