Non ha date precise a cui fare riferimento: sa solo che è «da una vita» che pratica arti marziali. Massimiliano Morandini, veronese classe 1970, è un guru (“maestro” in sanscrito, ndr) di “Pencak Silat”, un’arte marziale che viene da lontano, dall’Indonesia, che coniuga, come le altre, la preparazione fisica a quella mentale e si spinge anche un po’ più in là, come ci è stato spiegato. La parola chiave di questa disciplina? Energia. Un elemento che potrebbe sembrare banale ai più, ma che racchiude l’intera essenza del Pencak Silat e che, tra le altre cose, Guru Max Morandini (come è conosciuto sui social) racconta nel suo libro “Viaggio nel Pencak Silat”, frutto di ben dodici anni di ricerche, osservazioni, e interviste realizzate in tutto il mondo. Una soddisfazione immensa per Massimiliano che, anche per telefono, non nasconde l’emozione di aver messo nero su bianco quanto imparato nel corso di quarant’anni di pratica.
A un neofita come spieghi il “Pencak Silat”?
È difficile rispondere in modo univoco e preciso: non si bene dove sia nata quest’arte. In Indonesia è materia scolastica, è uno stile di vita. Qui nel mondo occidentale è vista come un’arte marziale di combattimento, ma non è così. All’interno ci sono delle dinamiche incredibili: è un’arte ancestrale perché si basa su principi spirituali energetici.
Cosa intendi per “energia”?
In tutte le culture del mondo c'è, come concezione, con vari nomi, l'energia cosmica. C'è chi lo chiama “Prana”, “Chi”, “Respiro vitale”. È un’energia che fa muovere ogni cosa nell'universo e anche gli indonesiani hanno questa energia interna ed è data da fattori fisici. Di fatto l’energia vitale si concretizza attraverso l'uso del corpo e serve sia per migliorare le tecniche marziali, sia la mia mentalità, l'integrazione con il tutto, con la natura e creare un ambiente di armonia intorno a me. Noi per testare l’energia interiore rompiamo le lastre di ferro: è come un compito in classe, per vedere se abbiamo capito quello che è stato spiegato.
Ma come è iniziata quest’avventura?
Circa vent’anni fa, con un gruppo di altre persone, andammo in America a cercare altri maestri. Lì ho trovato il mio primo vero maestro, che mi ha fatto capire che quello che avevo fatto fino a quel momento erano movimenti vuoti, vacui. L’ho seguito per circa dieci anni e sono diventato Guru. Da lì mi sono spostato sempre più spesso in Indonesia, dove anche adesso passo parecchi mesi all’anno.
Perchè in Italia è un’arte così poco diffusa?
Perchè è di una difficoltà disarmante: non si basa su principi fisici, che comunque sono molto complicati da comprendere, ma si basa sull’integrazione tra parte animica, spiriturale e fisica. Una volta creata questa “base”, che richiede circa sette anni di allenamento, si inizia per davvero. E i risultati sono incredibili, quando la vedi.
Tu quanto ti alleni al giorno?
Di solito mi alleno ogni giorno per circa due o tre ore. Prima mi allenavo di più fisicamente, mentre ora entro in profondità su altri aspetti: meditazioni, respirazioni, concentrazioni ed esercizi specifici per la mente.
Come hai fatto a diventare Guru?
Un giorno, in America, quasi dieci anni fa, stavo parlando con il mio maestro e mi ha detto: “da oggi sei Guru” (ride, ndr). Non è molto molto formale il nostro ambiente. Se mi fossi trovato in Indonesia, un minimo di cerimonia ci sarebbe stata.
Parliamo del tuo libro: ci hai condensato dodici anni di ricerche. Come hai fatto?
Non sono partito con l’idea di scrivere un libro. Andavo in giro per il mondo, studiavo, facevo ricerche. Dopo un po’ di anni mi sono accorto di aver raccolto una grande mole di dati e si è condensato tutto di un libro circa 600 pagine che, però, per l’editore era troppo lungo. Quindi l’ho spezzato in più parti. Ho già pubblicato la prima parte, “Viaggio nel Pencak Silat: Trattato sul Pukulan Pentjak Silat Sera”, che è introduttiva, di circa 300 pagine, con disegni tecnici e strutture fisiche. Il secondo libro parla di questioni più fisiche, strutturali e psicosomatiche. La terza parte parla invece di energia e di movimenti tecnici e sono un argomento vastissimo. A fine anno pubblicherò il libro in lingua indonesiana, perché per adesso c’è in inglese e in italiano.
Hai mai pensato di trasferirti definitivamente in Indonesia?
Tante volte. Ok, diciamo che tra qualche anno quando andrò in pensione, passerò più mesi là. Ma non mi trasferirò completamente, perché mi piace stare qui, poi la mia famiglia e i miei figli sono qui.