Storie di persone - 07 novembre 2023, 15:44

La moda che scava nell’oblio

La moda che scava nell’oblio

Vintage, seconda mano, usato. È la moda che cambia, torna e si rinnova nel segno dell’economia circolare e della sostenibilità. Lo abbiamo visto negli ultimi anni, con l’exploit di piattaforme online come “Vinted”, “Wallapop”, “DePop” e la nascita di negozi fisici come “Humana Vintage” e tanti altri. La moda che piace è quella usata: dai vestiti griffati a quelli meno ricercati, i costi sono decisamente inferiori e chi acquista sente di aver fatto qualcosa di buono per il proprio portafoglio e per l’ambiente. Si tratta di una declinazione di sostenibilità che, più di altre, sta trovando terreno fertile in Italia e che ha deciso di sposare anche Michele Roncada, giovane stilista di Rivoli Veronese che, dal 2016, confeziona camicie utilizzando tessuti “nobili” di scarto scovati qua e là, tra un mercatino vintage, un viaggio di lavoro e donazioni da parte di clienti in giro per il mondo. L’unico requisito? Devono trasmettere qualcosa, che sia un’emozione, un’idea o un ricordo.

Come è nata questa avventura, Michele?

L’idea è nata nel 2015: tramite il mio lavoro di interior designer mi trovavo spesso a contatto con case che andavano svuotate e sono venuto in contatto con alcuni tessuti di arredo, prevalentemente tendaggi, copri divani, copri letti, tutte cose che sarebbero state buttate via. Siccome mi avevano colpito molto come tessuti, ho deciso di farci qualche camicia per me. In molti mi hanno fatto i complimenti chiedendomi se potessero averne una anche loro. Così ho deciso di registrare il marchio “Michele Roncada” nel 2016: mi sono disegnato il logo, che è un alfiere…

Perché?

Perché è l’unico che sulla scacchiera si muove in diagonale, che esce dagli schemi.

Avresti mai pensato, da interior designer, di poter diventare uno stilista?

No. È successo senza che me ne potessi rendere conto. Ho iniziato piano e giorno dopo giorno alzavo sempre di più l’asticella. Lavoravo alle camicie in pausa pranzo o di notte.

Come nasce una delle tue camicie?

Io giro molto sia per lavoro sia nel tempo libero ai mercatini. Quando trovo un tessuto che mi piace e mi colpisce in qualche modo immagino la camicia e cosa potrebbe rappresentare: ognuna è ispirata a un monumento, a un personaggio o a una zona d'Italia e quindi ogni camicia ha un suo nome e una sua anima. Ovviamente mi faccio dare una mano da una sarta – anche se ho imparato da solo a farle (ride, ndr) – per produrre massimo tre camicie a settimana, ma ce ne sono alcune che richiedono anche tre settimane di lavoro. Tutte le camicie vengono postate su Instagram, che è la mia vetrina principale.

Ti definiresti un “maniaco della perfezione”?

Sì, sono molto pignolo. Per esempio: se per una camicia non ho i bottoni che reputo giusti, aspetto a produrla finchè non trovo quelli perfetti. Possono passare anche settimane o mesi…

Come ti rapporti con i clienti?

Ho deciso di occuparmi personalmente di ogni cliente, quindi mi faccio carico delle eventuali modifiche sartoriali e dei “rattoppi”. Siccome è un investimento importante, infatti, conservo per anni tessuti e bottoni di ogni camicia, di modo che se ci dovesse essere un rattoppo da fare, abbiamo a disposizione i materiali originali.

Chi è il tuo cliente tipo?
Tanti sono italiani, ma la maggior parte del mio mercato si trova in Giappone. Questo grazie a una influencer che, mentre si trovava a Roma, ha visto per caso una mia camicia addosso a una persona e mi ha pubblicizzato su Twitter. In poche ore mi sono ritrovato con migliaia di nuovi follower su Instagram e bombardato di ordini dal Giappone, tanto che pensavo di aver preso qualche virus online (ride, ndr). Ora vendo regolarmente nel Medio Oriente, negli Stati Uniti e in Asia. Tanti clienti mi mandano anche foto con le camicie addosso ed è una soddisfazione immensa.

C’è una camicia preferita tra quelle che hai realizzato?

Ce ne sarebbero tante, ma forse la preferita è proprio la prima che ho venduto. Era una camicia in tessuto di arredo blu con una fodera interna. Poi ce ne sono altre con un significato speciale: ne ho fatta una con tessuti che avevo trovato in Sardegna, che per me è un luogo molto importante. Oppure penso a una camicia che avevo realizzato per una persona che mi aveva regalato dei tessuti di arredo di sua nonna e, per ringraziarlo, ho creato una camicia per lui proprio con questi tessuti, per ricordare la nonna.

So che anche la solidarietà gioca un ruolo importante nel tuo lavoro.

Sì, tutto è cominciato nel periodo del Covid. Era un momento molto delicato e mi sembrava irrispettoso andare a pubblicizzare sui social le mie creazioni che non sono una priorità. Così ho deciso di scontarle tutte e di destinare il 20% a una struttura ospedaliera a scelta del cliente. In questo modo mi sono ritrovato a decuplicare il volume di lavoro e a poter devolvere 10mila euro ai vari ospedali. Da allora c’è sempre qualche iniziativa di beneficenza legata alla vendita: dalla piantumazione di alberi, all’adozione degli alveari. In questo momento, tramite il WWF, per ogni camicia acquistata viene adottato un riccio europeo e abbiamo già raccolto più di 500 euro.

Ora una domanda da addetto ai lavori: la moda del futuro quale sarà?

Io credo che il futuro sarà lo scambio, sia per questioni economiche che di spazio. Oggi come oggi anche i vestiti che una volta erano considerati più abbordabili, sono diventati costosi; quindi, la singola persona si trova a fare i conti con una limitata capacità di acquisto e, poi, di spazio. Per questo ho lanciato un’iniziativa per farmi inviare, da chi vuole, tessuti d’arredo di scarto che, a seconda della quantità e qualità, frutteranno a chi li invia uno sconto o direttamente una camicia.

E il tuo futuro, invece?

Sicuramente vorrei dedicarmi totalmente al mio brand, magari aprire un piccolo punto vendita fisico, ma dovrà essere in linea con il marchio: dovrà avere il suo fascino.

Giorgia Preti

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