Gentile e con gli occhi sorridenti, apre la porta indossando un maglioncino verde brillante e mi fa sedere sulla poltrona accanto alla sua. Comincia a raccontare una storia incredibile, come quelle che si vedono nei film. Nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale si è ritrovata orfana dei genitori ma non era una bambina come le altre: Diomira Pertini, oggi 90 anni, è la nipote del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, figlia di suo fratello maggiore Eugenio morto al campo di Flossenbürg nell’aprile del 1945. Testimone storica di un tempo difficile e doloroso che, eccezionalmente, ha deciso di regalarci ripercorrendo a ritroso i ricordi.
Partiamo dal principio: ha vissuto la sua infanzia durante la Seconda Guerra Mondiale; quali sono i ricordi di quegli anni?
Sono nata a Genova. Quando avevo 10 mesi ho perso mia mamma e a 10 anni mio papà, Eugenio Pertini. Ricordo ancora l’ultima volta in cui l’ho visto. Papà mi aveva mandata da una famiglia di conoscenti in campagna perché diceva che “l’aria lì non era più buona”; in realtà aveva iniziato ad aderire alla Resistenza. Dopo diverse settimane, sono tornata a Genova e abbiamo trascorso insieme un mese bellissimo: mangiavamo sempre al solito ristorante in via San Vincenzo perché lui aveva perso la casa con i bombardamenti e aveva affittato una stanza. Un giorno ci sediamo al solito tavolo per cena e mentre aspettiamo io comincio a fare capricci, ma le mie lagne vengono interrotte da un uomo in divisa, è una SS: punta la rivoltella e gli intima di seguirlo. Lui si alza, prova a scappare dalla cucina, ma niente. Lascia sul tavolo quei pochi soldi che aveva in tasca e, preso a forza per un braccio, se ne va. Non l’ho più rivisto.
Tra zie e cugine ficcanaso, la scuola prima e il collegio poi oltre al tentativo di diventare una donna indipendente trovando un lavoro: Diomira Pertini trascorre la sua giovinezza in diverse città italiane supportata ma mai favorita da uno dei più grandi uomini della storia nazionale, suo zio, il Presidente Sandro Pertini.
“Il Presidente più amato dagli italiani”, così ricordiamo oggi Sandro Pertini ma nella vita quotidiana, com’era?
Zio Sandro e zia Carla (ndr. Carla Voltolina, giornalista partigiana moglie del Presidente) erano molto affettuosi, sono stati i miei “genitori”. Era anche pungente e diretto con la sua famiglia, il suo modo a casa era tale e quale in politica. Ricordo un episodio divertente. Lavoravo come maestra in una scuola di campagna: sperduta, senza bagno né corrente, ero circondata solo da bambini e trascorrevo tutto il tempo da sola. Zio Sandro, un giorno, arriva e mi porta via: “Diomira cara, qui non ci troverai mai marito. Cambiamo lavoro”. Le sue parole. Ci ho messo 11 anni per trovare il posto da maestra; mai una volta mio zio mi ha favorita o ha cercato di agevolarmi in qualche modo. Non ci faceva nemmeno soggiornare nei palazzi di Stato o andare al Quirinale quando andavamo a trovarlo a Roma, pagava lui l’albergo per noi e come tutti, prima di poterlo disturbare dovevo parlare al telefono con la segretaria. Nessuna corsia preferenziale: era un uomo integro e corretto come ce ne sono pochi e io ne vado molto fiera. A 25 anni mi sono sposata con mio marito Augusto Piccoli e mi sono trasferita a Verona, la sua città; zio Sandro veniva spesso a trovarci e si tratteneva sempre a casa nostra ma era l’incubo della scorta perché voleva andare in giro e mangiare al ristorante. In casa si sedeva sempre a capotavola e si divertiva a giocare con i miei figli: il suo momento preferito era il carnevale quando i bambini si mascheravano e gli facevano gli scherzi con coriandoli e stelle filanti.
Diomira snocciola tanti aneddoti felici che uno dopo l’altro prendono forma concreta attraverso le foto. Mentre racconta si guarda in giro e indica di tanto in tanto un quadro appeso nel suo soggiorno: la casa di Stella (Savona) oggi museo alla memoria di Pertini, “zio Sandro” con la pipa in bocca, suo marito Augusto Piccoli, il profilo di suo padre caduto durante la Marcia della Morte. Ninnoli e soprammobili in una casa perfettamente in ordine, madida di quelli che per lei sono ricordi di famiglia ma che per tutti noi sono la storia che si studia sui libri.
Lei oggi è presidente di ANED Verona: come vive questo ruolo?
Nel 2022 il consiglio direttivo dell’Associazione Nazionale ex Deportati di Verona mi ha eletta presidente, un ruolo che vivo anche nella memoria di mio padre e mio zio. ANED è una rete nata per i familiari delle vittime con l’obiettivo di supportarsi a vicenda; negli anni è cresciuta a livello nazionale tessendo rapporti di amicizia che durano ancora oggi. Sono sempre stata tra le fila dell’Associazione e per dimostrare la mia vicinanza ho regalato alla sede di Verona un pezzo del filo spinato di Flossenbürg e una dedica di Primo Levi, cimeli dello zio Pertini. Ricordo che una volta mi ha spedito una lettera e dentro la busta aveva infilato due fiorellini che aveva raccolto per me sulla fossa comune al campo di Flossenbürg dove è sepolto mio padre. Sono stata tante volte lì e ho portato anche i miei figli. Non è stato facile avvicinarsi a quel cumulo di terra pensando di riavere così vicino il papà dopo tanti anni.
Che senso ha, secondo lei, ricordare questi eventi oggi? Il Giorno della Memoria può avere ancora un significato per le giovani generazioni?
Sì, certamente. Deve avere un significato, ma diverso dal valore che gli attribuisco io. Si parla ancora tanto di fascismo e antifascismo, si assiste a diversi episodi di violenza e discriminazione tra i giovani. La Memoria di Guerra oggi può diventare un modello di comportamento e un modo per insegnare valori che altrimenti rischiamo di perdere. Io sono molto fiduciosa nelle nuove generazioni: vedo i miei nipoti che hanno circa 20 anni e sono interessati e queste vicende, mi chiedono spesso storielle e aneddoti, cercano di capire com’era il mondo e il senso di quel dolore. Raccontare significa non dimenticare.
Prima di andare via mi offre un cioccolatino e mi dà un abbraccio.