C’è un nome che ha brillato più di tutti alle Paralimpiadi di Parigi 2024: è quello di Stefano Raimondi, nuotatore veronese capace di scrivere una pagina memorabile dello sport italiano. Cinque ori, un argento e un record del mondo conquistato insieme ai suoi compagni di staffetta. Raimondi non è stato solo l'azzurro più medagliato di questa edizione, ma anche l’atleta che ha messo al collo il maggior numero di ori in un singolo sport nella stessa edizione della rassegna paralimpica. Il gradino più alto del podio lo ha conquistato nei 100m stile libero, rana e farfalla, nei 200m misti e nella staffetta 4x100m mista stile libero, mentre si è fermato al secondo posto nei 100m dorso. Un’impresa leggendaria, che conferma il suo status di campione assoluto e mostra ancora una volta come lo sport sia la più potente cura riabilitativa.
Stefano, quali erano le premesse per queste Paralimpiadi?
L'obiettivo era quello di migliorare i piazzamenti di Tokyo. Alcune gare non avrei mai pensato di vincerle: i 100m stile, ad esempio, ma anche i 100m rana con un francese come diretto rivale.
Per via del tifo contro?
Questa è come se fosse stata la prima Paralimpiade, quanto meno la prima con il pubblico e tutto ciò che è mancato a Tokyo causa Covid. Non sapevo cosa aspettarmi quando sono entrato a bordo vasca, ma il tifo per lui mi ha dato una grandissima scossa di adrenalina. Sono partito fortissimo.
Quindi il pubblico fa la differenza?
Sì, non pensavo. Noi nuotatori non siamo abituati a vedere così tante persone in piscina, ma avere uno stadio da 15-20 mila persone pieno già dal mattino a vedere le batterie è stato veramente bello.
Come si fa ad essere così bravi in tanti stili diversi?
Sicuramente c'è un lavoro specifico per ogni stile, ma conta anche la predisposizione, che per ognuno di noi è in genere per un paio di stili. Dalla mia parte ho sicuramente il fatto che il mondo paralimpico si sta sviluppando fortemente solo negli ultimi anni e al momento la grande concorrenza c’è nello stile libero, che è praticabile da un maggior numero di atleti con disabilità rispetto alla rana o al delfino.
A cosa si deve questo sviluppo?
Noi atleti cerchiamo di mandare quanto più possibile un messaggio ai più piccoli e alle loro famiglie, perché quanto prima i ragazzi si avvicinano al mondo paralimpico, tanto prima riusciranno a superare un eventuale trauma o limiti che a volte ci si autoimpone, allenarsi per diventare forti e togliersi grandi soddisfazioni.
Difficile chiederti in quale stile sei più forte, ma ne hai uno prediletto?
Direi la rana, ma anche il delfino. Nella rana ero competitivo anche prima dell'incidente (avvenuto nel 2013, compromettendo la gamba sinistra con lesioni permanenti, ndr), ma l’ho poi abbandonato per i problemi alla gamba, focalizzandomi sul delfino, per poi dedicarmi nuovamente a entrambi quando ho iniziato a lavorare per le classificazioni nel mondo paralimpico.
La medaglia più sofferta qual è stata?
I 100m delfino, non ce la facevo più. Arrivavo da quattro giorni di gare e l’atleta ucraino nella corsia a fianco non si allontanava mai da me. Ho pensato a tutto il lavoro fatto, ho messo giù la testa e sono andato.
E quella che ti ha emozionato proprio di più?
Non l’ho mai detto, ma il giorno dopo essere arrivato a Parigi è mancato mio nonno e volevo assolutamente riuscire a vincere una medaglia per dedicargliela. Dopo l’ottimo risultato nelle batterie dei 50m stile, il primo giorno, stavo già pensando al podio, ma nella finale ho fatto degli errori e sono arrivato quarto. La medaglia è arrivata il giorno seguente nei 100m rana ed è stata un’emozione fortissima, così come lo è stata la medaglia nella staffetta, vinta insieme alla mia compagna (la nuotatrice paralimpica Giulia Terzi, ndr), con nostro figlio sugli spalti: è stata la giusta e degna conclusione.
Tuo figlio Edoardo ha cambiato in qualche modo il tuo essere atleta?
Ora cerco di allenarmi il più in fretta possibile per tornare a casa a stringerlo e godermelo, lo terrei sempre in braccio.