Storie del territorio | 26 maggio 2017, 08:05

Giuseppe Manni, veronese dell'anno

Giuseppe Manni, veronese dell'anno

Presidente di una delle realtà aziendali più importanti del panorama scaligero, oltre ai successi imprenditoriali raggiunti con il suo Gruppo, Manni ha scritto, in silenzio e senza mai apparire troppo, decine di pagine di filantropia in Italia e nel mondo.

Premiato da Verona Network per la sua attenzione al sociale, l’imprenditore ci ha raccontato anche del suo progetto messo in campo di recente per tentare di salvare il patrimonio dell’Opera lirica in Arena.

Giuseppe Manni ha ricevuto il Premio Verona Network 2017. Un riconoscimento che l’associazione scaligera omonima, nata in occasione di Expo 2015 e che oggi conta oltre 60 soci istituzionali, ha assegnato nel 2015 a Veronafiere per l’exploit del Padiglione del Vino proprio a Milano e nel 2016 al regista Gaetano Morbioli per la sua attività artistica che fa conoscere la città di Verona sui grandi palcoscenici internazionali. Lo scorso 21 aprile in Villa Arvedi, dicevamo, il Premio è andato all’imprenditore veronese con la seguente motivazione: «Per i risultati ottenuti dal Gruppo Manni e per l’impegno dimostrato nei confronti di realtà sociali, artistiche e culturali del panorama veronese, nazionale e internazionale».

Imprenditore illuminato, presidente di una storica realtà veronese attiva nel campo siderurgico da oltre 70 anni e che dà lavoro a più di 1100 persone, Giuseppe Manni si eleva nel panorama scaligero per le sue capacità manageriali e non solo. Nota ed encomiabile, appunto, la sua attenzione nei confronti di progetti di sviluppo e diffusione dell’arte e della cultura, in Italia e nel mondo, attraverso collaborazioni con università, istituzioni, associazioni e ordini professionali. Un impegno culturale per nulla scontato, che lo configura come un moderno mecenate che opera però in silenzio con eleganza e stile, caratteristiche proprie della sua persona.

Presidente, da dove deriva questo suo impegno extraprofessionale?

È frutto di quel senso di responsabilità sociale che ti fa sentire tributario nei confronti della società, in particolare di quella in cui sei nato, cresciuto e dove hai ricevuto un’educazione. Ma poi rispecchia anche le passioni che ognuno di noi ha, che sento anch’io e da cui nasce la voglia di coinvolgere altre persone attorno a me. E quindi attenzione verso l’arte, l’archeologia, la musica, il teatro, sempre nei ritagli di tempo, purtroppo. Il mio desiderio è trasferire la passione e quel senso di responsabilità a chi verrà dopo di noi, dopo di me, ed è questa è la vera sfida.

Non è scontato che un imprenditore di successo si preoccupi di aspetti sociali, artistici o culturali che abbiano ricadute sul territorio e sulle persone.  Fa parte di una sua filosofia di vita?

C’è un sostantivo molto bello e di moda oggi, talmente in voga che ho paura che venga inflazionato, e che tuttavia rappresenta una sorta di mantra spirituale anche per me. Mi riferisco al termine “sostenibilità”. Declinata in tre ordini: sostenibilità economica, il che significa che dobbiamo iniziare a ragionare su sistemi economici durevoli, non mordi e fuggi, che abbiano un impatto positivo costante anche sul territorio in cui un’impresa opera. Secondo aspetto: sostenibilità sociale. Politiche che evitino di avvantaggiare a dismisura poche élite mentre si impoverisce una percentuale sempre più larga di popolazione. Non si crea sviluppo e si inaspriscono i conflitti. Terzo punto: la sostenibilità ambientale di cui dobbiamo necessariamente tenere conto da qui in avanti.

Sappiamo che lei ha un progetto importante anche per Verona

Sì, e si chiama Arena Lirica Spa. Assieme agli avvocati Lambertini e Maccagnani abbiamo studiato e proposto una soluzione del tutto fattibile che preserverebbe un patrimonio che per Verona ha un valore inestimabile, ovvero la stagione lirica. Finché ci sarà un sistema di gestione centralizzato, pilotato da Roma, dal Ministero, e non di tipo privatistico e manageriale, con il quale si premia chi fa bene e si punisce chi fa male, non vi è dubbio che le cose non potranno mai funzionare. Stiamo assistendo a un declino gestionale e qualitativo dell’offerta. Contributi ministeriali (FUS) in costante calo, risorse che non permettono l’ingaggio di nomi di punta per lo spettacolo, pubblico che è passato dalle 15mila presenze a serata a circa la metà….è chiaro che le Fondazioni non riescono a far fronte ai costi col loro bilancio.

Cosa prevede la vostra ricetta?

Una gestione triennale della sola stagione lirica estiva, e non di tutto l’anno, che ridurrebbe i costi di circa un terzo, consentirebbe il pagamento in tre anni del debito della Fondazione che oggi ammonta a circa 30 milioni e introdurrebbe il concetto di fundraising. Sponsor internazionali che potrebbero intervenire economicamente, anche con la sponsorizzazione di una singola serata.

Torniamo a lei. Ci dice qual è la più grande soddisfazione che ha avuto?

Capire dopo molti anni che mio figlio Francesco avrebbe potuto sostituirmi. Lo dico non per vanità, ma perché non ne ero sicuro. I passaggi generazionali sono sempre molto delicati. Mi piacerebbe vedergli fare un percorso imprenditoriale altrettanto importante, con un impegno maggiore all’estero che è poi la strada su cui siamo impegnati da tempo. Sono sicuro che ce la farà.

Un ricordo di suo padre e di sua madre?

Mio padre mi ha insegnato il lavoro duro, l’importanza di sporcarsi le mani e di fare sacrifici. Mia mamma era una colonna per tutta la nostra numerosissima famiglia. Ha cresciuto otto figli, la ricordo sempre col pancione. Ha sostenuto mio papà nelle scelte professionali significative. Era la mente.

Un sogno presidente?

Quello del centenario. Poco fa abbiamo festeggiato i 70 anni del Gruppo e i 56 della mia gestione. Mi auguro che Francesco, perché io non ci sarò più, possa festeggiare con lo stesso ardore, lo stesso gusto e la stessa soddisfazione che ho avuto io. Non mi piace essere l’unico ad averla provata.