Storie del territorio | 27 maggio 2022, 10:21

Un milione e mezzo per la villa romana di Negrar

Un milione e mezzo per la villa romana di Negrar

Un milione e mezzo di euro è il finanziamento che dovrebbe arrivare dal Ministero della Cultura per procedere con la valorizzazione e la conservazione della villa romana di Negrar.

È ciò che ha annunciato Vincenzo Tinè, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza durante la conferenza stampa di conclusione degli scavi. Nel frattempo è partita una raccolta fondi gestita dall’associazione Adige Nostro. Ora l’attenzione è rivolta a «come sistemare e organizzare il parco archeologico per la fruizione pubblica – continua Tinè –. In questo il Politecnico di Milano, sede di Mantova, ci aiuterà a concepire una sorta di progetto».

Da ieri l’area è aperta al pubblico previa prenotazione dal sito del Comune di Negrar. Ciò che si può ammirare è una villa del IV secolo dotata di zona termale, ampio peristilio con pavimento musivo in origine con pareti affrescate e soffitto a cassettoni prospettici (purtroppo scomparsi), un’area residenziale con pavimenti a mosaici e un’altrettanta estesa zona lastricata probabilmente deputata al commercio dei prodotti agricoli. Accanto, vi è ancora traccia del calcatorium, che serviva per la pigiatura dell’uva, in origine posto di fianco ad una vasca di raccolta di cui è rimasto solo il fondo. Da qui il mosto passava nel torchio di cui sono state trovate tre grosse lastre. Infine, il vino veniva messo a riposto in botti di legno.

Proprio questo è l’aspetto più interessante, perché sono stati trovati molti vinaccioli vicino allo scarico delle latrine che sono stati fatti analizzare dal laboratorio di microbiologia dell’Università di Verona. Ciò che è emerso è che appartengono alla vite silvestre e alla vite vinifera. Per sapere di quali uve in particolare bisognerà attendere i risultati sul DNA condotti dal dipartimento di biotecnologie.

Come riferisce Patrizia Basso, docente di archeologia classica nell’ateneo scaligero, i vini provenienti dalla Valpolicella erano molto importanti e citati sia da Plinio il Vecchio che da Cassiodoro, che descrive un vino molto simile all’attuale recioto. Altra curiosità che porta a pensare ad una coltivazione molto estesa di uve è il ritrovamento di legno bruciato appartenente a viti e a olmi, questi ultimi utilizzati nella viticoltura. Grazie al finanziamento di Cariverona il Dipartimento di Culture e Civiltà ha potuto far analizzare anche i pollini rinvenuti e si è scoperto che gli antichi veronesi coltivavano anche cereali e legumi.

«Studiare l’antico ci permette di studiare il presente» sottolinea Basso che prosegue: «Il IV secolo era un’epoca che assomiglia alla nostra perché caratterizzata da un grande divario sociale, oltre ad essere attraversata da guerre e pestilenze». L’enorme ricchezza dei proprietari si palesa proprio nella decorazione a mosaico del peristilio che si affacciava su un giardino attraversato da un corso d’acqua al cui centro era posta una fontana. I mosaici sono stati fatti con pietre locali e pasta vitrea. La brillantezza dei colori è uguale alla varietà dei soggetti raffigurati.

Oltre a motivi geometrici spiccano rappresentazioni di animali locali e due immagini di un uomo e di una donna. Dei due è rimasta solo quest’ultima: una bellissima matrona romana con gioielli al collo e ai capelli, pettinati in una sofisticata acconciatura. Forse è la moglie di tale Lucio Valerius il cui nome è stato rinvenuto su un frammento marmoreo. Di tutte le persone che hanno abitato la villa conosciamo solo il volto di questa donna, l’unica superstite al passare del tempo, l’unica padrona di casa che da il benvenuto a coloro che visiteranno la sua dimora, restaurata dagli studenti della Fondazione Accademia di Belle Arti.