Storie del territorio | 27 novembre 2018, 15:10

Una cava di Marmo Rosso Verona, la città nel cuore della Lessinia

Una cava di Marmo Rosso Verona, la città nel cuore della Lessinia

Siamo debitori di anima e di bellezza alla natura e abitiamo una città che della montagna è figlia, visitare una Cava di Marmo Rosso è come visitare Verona, i suoi monumenti, la sua storia.

La giornata alterna nebbia a qualche sprazzo di sole, giusto per illuminare la gola che ci lasciamo in basso, e le sue pareti imponenti e fiere custodi di tesori e libri antichi in quelle grotte che ancora da esplorare sono pertugi, vergini di storia e colori. Marogne, come pietre staccate dalla roccia e messe a contenere la terra in terrazzamenti che sui poggi ai piedi delle altezze fanno da balconi per coltivare frutti e doni.

Salire i tornanti fino all’imbocco di un viottolo sterrato ancora più ripido che da’ misura dell’impresa, fiancheggiato da alberi di abete che con fusto sottile si ripetono all’infinito in una città che si attraversa come tra grattacieli, per arrivare in Bra’, uno slargo, una piazza enorme lastricata di sé stessa, della materia di cui è sostanza, Marmo Rosso. Siamo in Cava, Verona ai piedi di 800 metri, più in là.

La nebbia accarezza i costoni della montagna tagliata a parete liscia o frastagliata, e si offre con sfumature di rosso che la brezza bagna come carne viva; la montagna aperta si offre come donna nuda, senza volgarità, con orgoglio, si offre senza pregiudizio, come quella Olympia da Manet dipinta distesa su un letto rosso ci guarda e ci sfida. Silenzio.

Tanta è la grandezza che le parole sono di troppo. La paura di disturbare l’equilibrio di natura, che la montagna si ribelli facendo rotolare sassi al posto di parole, si ascolta.

L’aria punge, la nebbia scende, come in quelle Malebolge dell’ottavo canto dantesco, il girone dei lussuriosi, quasi s’intravvede Giasone tra i seduttori e non ci meraviglia, qui la bellezza porta a sé, attira come contrappasso.

Si avvicina Jack che di questo contrappasso è erede, un cane che sembra scolpito nel legno, custode di marmi che raccontano di quando c’era il mare, incastonato come fossili nel ricordo di vulcani che hanno lasciato di sé stessi il colore rosso vivo. Sangue.

Scorre il tempo, ripercorrendo gli strati della montagna, e ti senti sempre più piccolo, ringiovanisci fino a diventare bambino cercando di raccogliere quanti più sassi colorati ti ci stanno in tasca o nelle mani in una frenesia di possesso di questa bellezza che toglie il fiato. Frastorna.

Cammini, in questo teatro al contrario, in una “cavea” senza gradini dove gli spettatori guardano uno spettacolo dalla parte opposta e sono al contempo sul palcoscenico protagonisti di una storia che si racconta da sola.

Una Cattedrale, quella che in ogni città è fulcro del senso del sacro, in un religioso silenzio che parla da solo dell’intensità del colore che riempie occhi anemici di bellezza.

Non serve portarne via brandelli, li hai negli occhi, e lentamente lasci cadere i pezzi raccolti; non si può possedere, rubare, ogni singolo pezzo ha bisogno di forma e di funzione, i pezzi staccati chiedono di essere raccontanti in una nuova storia tutta da inventare che dialoghi con altri luoghi lontani da qui. Una storia unica.

Metti le mani in tasca, senti rimasugli di pezzetti di marmo bagnati dalla pioggia e dalla nebbia, si sbriciolano in mano e lasciano colore come intonaco che accende la memoria.

Così ti riappare la città che sta sotto, e tutti i rimandi, i legami che un tempo l’architettura utilizzava per raccontare queste storie, come doveroso omaggio alla natura madre di figli lontani, in un Territorio che univa città e campagna, o montagna o mare che sia. Armonia.

Echi, come mito che ancora ci chiama in questo luogo originario. E dagli occhi al palato.

Sazi, mai abbastanza di bello ritroviamo il buono in una fetta di torta alle mele che profuma di limoni, addolcisce il debito di anima che abbiamo nei confronti della montagna e ci investe di responsabilità: Lessinia non è solo malghe e formaggio, è il luogo da dove vengono le nostre case, il nostro senso dell’abitare, il suo colore. Rosso Verona.

Ripartiamo, lasciando alle spalle la cava, gli alberi, il primo buio, l’aria pungente, quel rosso che lentamente diventa scuro, e Jack, con un pezzo di marmo rosso in bocca che per tutto il tempo ci riportava come invito, e che abbiamo accolto.

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