Titolo: La figlia oscura
Autrice: Elena Ferrante
Casa Editrice: Edizioni E/O
Pagine: 139
IL LIBRO. C’è Leda che, come ogni madre, è mitologica agli occhi delle sue figlie soprattutto per gesti quotidiani. Sbuccia l’arancia come fosse un capolavoro. «Fai il serpente» le dicono le bambine porgendole un coltellino da frutta, un’ora prima che lei le abbandoni. Toglie la buccia per l’ultima volta con una meccanica senza dolcezze e poi esce dalla loro vita «perché ero troppo piena di me per essere madre». Se ne va perché vuole essere una persona, non una funzione. E definire il tutto come l’apoteosi di un egoismo è una lettura troppo facile, troppo perentoria per questo romanzo dove la maternità è guardata in ogni sua sfumatura. Non si tacciono le rinunce e nemmeno il peso di non accordarsele. Come per Leda che si trova anni dopo a fare cose impensabili e così tristi, come rubare il bambolotto di una bambina conosciuta in spiaggia per avere qualcuno o qualcosa da accudire e soprattutto per silenziare una «mancanza inconfessata». Quella di aver amato male.
L’AUTRICE. Ammirata quasi con ossessione in America,
dopo la serie di quattro libri L’amica geniale, questa autrice di cui non è nota la vera
identità (anche se pettegolezzi e più o meno sensate indagini di tanto in tanto
partoriscono un possibile nome) è un successo planetario costante: nel 2016 il Time l’ha inserita
nella lista delle 100 persone più influenti del mondo. La storia di Lenù e Lila
è diventata anche una serie tv diretta da Saverio Costanzo. La casa editrice
che pubblica l’autrice da anni (l’unica custode del segreto circa l’identità
che si cela sotto lo pseudonimo) ha annunciato che il prossimo 7 novembre
uscirà un nuovo libro. Non si sa altro, solo che si snoderà attorno «ad un
dolore arruffato».
NOTE A MARGINE. La maternità è un camposanto di
giudizi, di “fai così”, di conquiste e di rinunce. La Ferrante non lo nega e ha
l’abilità di non depositare neppure uno sguardo accigliato su questa Leda che
cerca di godere «dell’autonomia delle mie qualità», di essere un «anche» e non un
«solo». In questa gestione malconcia delle possibilità, La figlia oscura è
letteratura altissima, perché qui la scrittrice rende conto dello sconcerto che
è la vita, mai o solo bianca o solo nera. Sempre un terreno di chiaroscuri, di
scandalose sfumature.