Storie di persone - 15 febbraio 2024, 16:45

Fabio, ho fame!

Fabio, ho fame!

Dai banchi del Centro Stimmatini di Borgo Trento a quelli dell’Istituto Angelo Berti al Chievo, fino alla cucina di un ristorante in città in cui lavora da oltre 13 anni: la storia professionale di Fabio Vicentini è tutta veronese. Alla vita tradizionale, da alcuni anni ne affianca una virtuale dove, con il nome di @fabiohofame, vanta oltre 200.000 mila follower su Instagram e 74.000 su TikTok. Un ritorno a scuola inaspettato, una deviazione temporanea dalla strada maestra in grado di regalare soddisfazioni e aprire porte che si erano sempre ritenute chiuse a doppia mandata.

Fabio, sei nelle cucine professionali da tantissimi anni. La passione è innata o l’hai coltivata negli anni?

Ho intrapreso la strada della ristorazione perché prima di me l’ha fatto mio fratello, che voleva diventare pasticciere. Lo ricordo cantare contento mentre andava a scuola, ho seguito le sue orme perché anche io volevo andare a scuola ed essere così felice.

Il risultato?

Mi sono appassionato a quello che vedevo, anche grazie a bravissimi insegnanti che hanno sempre saputo coltivare la mia curiosità. Mi mostravano un lavoro complesso, manuale, per il quale bisogna essere disposti a fare sacrifici, ma di certo gratificante.

Invece l'attività sui social quando è iniziata?

A fine pandemia, per puro caso. Mia moglie è una social media strategist e gestisce le pagine di alcuni ristoranti e prodotti. Un giorno doveva creare un contenuto per un formaggio e mi ha proposto di cucinare qualcosa. Ci siamo divertiti talmente tanto in quella mezz'ora che abbiamo deciso di caricare il video su internet. Prima però dovevo aprirmi dei profili.

E anche scegliere un nome d’arte.

Anche qui è venuta in soccorso mia moglie. Abbiamo pensato alle frasi che mi dice spesso e la più gettonata è sicuramente “Fabio, ho fame!”. Aperto il profilo Instagram (IG) e TikTok, abbiamo caricato il video e siamo andati a letto. La mattina dopo su IG non l’aveva visto nessuno, su TikTok avevo 300 visualizzazioni. Ho pensato subito: chi sono questi 300 che si sono messi a guardare il mio video?

Per una pagina aperta appena poche ore prima non è male.

Infatti ho deciso subito di andare al supermercato per comprare qualcosa e fare un nuovo video, meno improvvisato. Ho registrato delle linguine con basilico e burrata, dopo alcune ore avevo già 3000 visualizzazioni. Alla sera erano diventate 50.000. Quella stessa sera mia moglie mi ha dato libri di marketing, mi ha comprato dei corsi e mi sono messo a studiare.

A scuola di social media? Nulla è improvvisato?

Nulla. Dal secondo video in poi ho studiato e più conoscevo la piattaforma e capivo come rapportarmi con essa, più il mio profilo cambiava mentre. Quando sono approdato sui social non sapevo nulla, ma avevo chiaro che si trattava di qualcosa su cui potevo investire. Da subito volevo creare una brand identity riconoscibile, che potesse fidelizzare i miei utenti.

Un po’ come gestire un ristorante virtuale?

Esattamente. Il lavoro sui social - perché lo considero tale - è come il rapporto con i clienti: mi chiedo cosa vorrebbero vedere, cosa si aspettano da me, cosa darebbe loro fastidio. C’è un filo rosso che lega tutto, mutevole così come lo sono i social.

Quello che si trova sulla tua pagina è l’alternativa: niente trend o mode culinarie del momento. Ricette classiche, preparazioni anche lunghe. A che prezzo?

A un prezzo alto, perché l'alternativa è sempre una lama a doppio taglio: può interessare a molti come a nessuno, ma voglio essere io in primis convinto e contento del prodotto che faccio e voglio che mi si cerchi perché offro idee diverse.

Il rischio non è quello di diventare troppo tecnico?

La mia bravura deve essere quella di offrire idee che portino le persone a sperimentare ma che siano al contempo replicabili. La soluzione per usare quel prodotto che si ha in dispensa da tempo, come della colatura di alici, ma che non si sa bene come usare, oppure l’idea che ti convince a comprare qualcosa di nuovo, come un daikon, perché hai visto che può essere usato in maniera interessante.

Che orizzonte vedi in questa attività? Un futuro solo social lo prendi in considerazione?

Direi di no. A me piace cucinare, muovere le mani, parlare con le persone, essere presente.

Considero l’attività sui social come una vera e propria vita parallela, una grandissima opportunità che mi può aprire tante strade, ma che non sto coltivando per essere l’unica.

Una strada potrebbe essere una tua attività in futuro?

Se penso a me tre anni fa, mai avrei pensato di arrivare a creare una pagina di questo genere. Allo stesso modo, come dice sempre mia moglie, Fabio di otto anni fa non avrebbe mai voluto un suo locale. Ho imparato che nella vita non si sa mai. Nel frattempo, lavoro e cerco di dare il massimo in quello che faccio.

Dal tuo profilo, da ciò che a volte racconti, traspare anche la complessità del lavoro del cuoco, che non è sempre come lo si vede, ad esempio, in tv.

È un lavoro molto difficile, fisico e manuale, con un costo umano altissimo, perché il tempo che dedichi al ristorante, anche in orari tardi o nei giorni festivi, lo togli alla tua vita personale. Il ristorante non è solo preparare un piatto, ma anche ragazzi da formare, studio di nuove portate, food cost, gestione dei bilanci, investimenti nella cantina dei vini, creazione di un gruppo coeso.

Immagino che sia molto diverso anche il rapporto con la clientela reale e “virtuale”. Come cambia il confronto?

Mi espongo con un modo di fare cucina che spesso non è concepito: 80 persone su 100 si indignano per qualcosa. Ho passato più di un anno e mezzo lottando a spada tratta sotto ogni video, provando a convincere gli utenti a fidarsi di un professionista che sa cucinare e sa di cosa parla. Dopo le polemiche per un branzino in crosta di sale mi sono arreso.

Come mai?

Avevo squamato il branzino, così come si fa in tantissimi ristoranti. A casa magari non si fa, e questo ha scaturito la grande indignazione. Quando un video diventa virale, accanto a chi ti segue e conosce, arrivano anche coloro che non ti conoscono ma devono comunque dire la loro opinione, che generalmente è riassumibile in un “non sei capace” oppure “non si fa così”.

Nella vita reale c'è chi chiede il confronto con i cuochi in cucina?

Pochissimi, quasi nessuno. Talvolta qualche cliente ci lascia delle impressioni, magari sulla cottura o sul bilanciamento di alcuni elementi nel piatto. Questa è una cosa molto bella e che, se sei intelligente, cerchi di sfruttare. Grazie al confronto abbiamo sistemato i dettagli di molti piatti, anche con una voce sola su cento. Questo è quello che ci si aspetterebbe sui social, dove però prevale ancora il giudizio urlato.

Da cuoco come vivi la velocità - o forse mancanza di pazienza - di chi offre contenuti culinari sui social?

 

Come un tipo di ristorazione diversa, nella quale conta più la sostanza. Ci sta sul social proporre un'idea leggera e di facile riproduzione, ma fare ricette replicabili in cinque minuti mi sembra inverosimile. Se a te piace cucinare, ti piace dedicare il giusto tempo alla cucina. Io cerco di dare magari una proposta di esecuzione diversa, un’ora o anche due, con un grado di soddisfazione più alta. è l'impegno che dà soddisfazione.

Un piatto che mangeresti tutti i giorni?

Il risotto col tastasal che prepara mio padre, esattamente la sua versione che ancora non mi riesce perchè credo mi abbia passato una ricetta sbagliata. Per me è casa, le mie origini, i miei affetti, la semplicità.

E invece un ingrediente che, secondo te, è sottovalutato?

Le erbe profumate. Imprescindibili nella mia cucina e tocco prezioso per molti piatti. La prima cosa che faccio in primavera è sempre l’orto delle erbe profumate.

Camilla Faccini

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