Diciott'anni, all’ultimo anno di liceo classico e già alle prese con la nazionale di rugby: Francesco Borelli di sogni nel cassetto ne ha tanti, ma uno, quello di giocare con i migliori, lo sta già realizzando. Il contesto è quello di uno sport dinamico e coinvolgente come il rugby, che non rappresenta solo una disciplina, ma anche un modello di vita educativo. Innanzitutto, c'è un forte spirito di squadra: ogni giocatore ha un ruolo specifico, ma il successo dipende dalla collaborazione di tutti. In situazioni di stress e pressione, inoltre, i giocatori imparano a gestirsi in modo calmo ed efficace; c’è disciplina, responsabilità ma sono due gli elementi davvero fondamentali che lo caratterizzano. In primo luogo, il fairplay e rispetto verso tutti (avversari compresi), lealtà ed etica sul campo e anche finita la partita e, in secondo luogo, l’apprendimento attraverso l’errore che forma i giocatori anche nella vita quotidiana. Francesco ci ha raccontato il suo modo di vivere questo mondo.
Quando hai capito che il rugby, per te, poteva diventare qualcosa di grande?
Quando avevo otto anni, alcuni rappresentanti di una squadra di rugby erano venuti nelle scuole per cercare di far conoscere questo sport: mi è piaciuto subito e da lì non ho mai smesso. All’inizio, con il mini rugby è solo divertimento, poi dopo i quattordici anni è diventato un po' più serio con le prime selezioni e gli allenamenti. È dura perché devo conciliarlo con la scuola, ma mi piace e ogni giorno cerco di dare il massimo.
La chiamata in nazionale come è’ andata?
La prima chiamata (era fine giugno 2022) è arrivata con una mail dalla Federazione che comunicava che ero stato convocato per l'under 18. Abbiamo fatto una partita contro una squadra gallese e fra l'altro abbiamo vinto (sorride, ndr). Da una selezione di 60 atleti siamo passati a 30 e poi a 28 con un ulteriore giro di boa e siamo partiti per un tour in Scozia. Dopo quell’esperienza c’è stata la convocazione per la partita nazionale ufficiale a Roma, contro l’Irlanda. Era il 5 novembre del 2022. Devo dire che c'è stato un momento negli spogliatoi dove mi sono veramente reso conto di dove ero e mi sono detto "ci siamo". Ricordo che, finito il riscaldamento, ho indossato la maglia azzurra ed ero circondato da altrettante maglie azzurre. Un enorme soddisfazione, ero davvero felice.
Qual è il tuo ruolo e perché?
Nel rugby ogni posizione in campo ha un ruolo specifico e richiede una combinazione di abilità fisiche, tattiche e caratteriali. L'anno scorso facevo il Mediano di apertura, il “numero 10” che è quello che gestisce il gioco, prende le decisioni in campo. Bisogna avere precisione nei calci, una buona visione di gioco e delle abilità nel passaggio, ma soprattutto devi saper decidere molto rapidamente cosa fare. Da quest'anno, al Valpolicella, gioco invece principalmente come Estremo, il "numero 15", quello che si vede lontano dagli altri, in profondità. Anche lui ha il compito di organizzare il gioco, avendo maggiore visibilità dalla sua posizione in campo, inoltre deve saper comunicare con gli altri compagni, essere concentrato, sicuro e avere iniziativa.
Il rugby è un modello diverso di sport: l’educazione e rispetto sono valori imprescindibili.
A differenza di altri sport, è un po' un modello di vita. Il rispetto è alla base, sia in campo che fuori, sia nei confronti degli avversari sia nei confronti dell'arbitro. Qui non si contestano le decisioni dell'arbitro e non ci si insulta fra giocatori. Poi c'è il famoso terzo tempo, momento conclusivo dopo la doccia. Si mangia qualcosa tutti insieme, avversari e arbitri compresi. Ad esempio, ad aprile sono andato via con la Nazionale per il Sei Nazioni, e dopo il match con l’Inghilterra mi sono scambiato i pantaloncini con il numero tredici, abbiamo parlato e ci siamo dati dei consigli: non ci sono invidie, solo tantissima condivisione.
Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere questo percorso?
È uno sport che tira fuori il carattere, ti obbliga a far emergere la tua personalità, a confrontarti con un gruppo e poi, la condivisione e il rispetto fanno del rugby uno sport che ti forma a 360 gradi. Se si può, è importante partecipare alle competizioni, vivere ogni esperienza.
Giocatore preferito?
Dan Carter, da sempre il mio giocatore preferito, neozelandese e per me un vero esempio. Se dovessi invece indicarne uno più giovane, direi l’inglese Ben Redshaw che è già a livelli altissimi.
Cosa non manca mai nella borsa di un rugbista?
Sicuramente scarpe da gioco, paradenti che serve per proteggerci durante gli impatti e nastro per le fasciature.
Hai qualche scaramanzia particolare?
Diciamo di sì (sorride ndr), ho alcune scaramanzie prima della partita, come entrare in campo per il riscaldamento con le scarpe slacciate, per poi allacciarle in campo, bagnarmi i capelli prima della partita e fasciare il polso destro.
Alimentazione prepartita?
Il pranzo prepartita deve essere rigorosamente pasta in bianco con un po’ di grana e del prosciutto crudo.
Prospettive per il futuro?
Entri in nazionale, ma devi rimanerci. Da poco ho esordito in Serie A con il Valpolicella. Confrontarmi con persone più grandi mi dà molto. Punto a fare un passo dopo l’altro con costanza e lavorando per migliorare le mie abilità tecniche, la forza fisica e la resistenza.