Cultura e spettacoli | 22 marzo 2024, 15:25

La storia dell’italiano in un indovinello

La storia dell’italiano in un indovinello

Era il 1924 quando Luigi Schiapparelli, studioso piemontese di diplomi medievali, scopre alla Biblioteca Capitolare di Verona un breve testo destinato a guadagnarsi un posto d’onore nella storia della lingua italiana. Nel margine superiore del terzo foglio di un codice liturgico di provenienza spagnola, giunto a Verona dopo diverse peregrinazioni, tra le quali certamente Pisa e Venezia, ci sono due note che con il contenuto dell’opera, ossia delle preghiere, non hanno nulla a che fare. Sono probabilmente una prova di penna, che allora era quella d’oca, di qualche copista, simili a quelle che faremo noi oggi trovandoci tra le mani una biro che non scrive bene.

Il testo, vergato in una scrittura datata tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo d.C., recita: “Se pareba boves alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen seminaba | Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne deus”, ovvero “Spingeva avanti i buoi, arava un campo bianco e teneva un bianco aratro e seminava nero seme. Ti ringraziamo Dio onnipotente ed eterno”. Il significato di questi versi? Subito si pensò a una cantilena contadina, ma il mistero lo risolse nel 1927 una giovane studentessa universitaria. Liana Calza, che vide il testo a lezione dal filologo De Bartholomaeis, riconobbe, nei versi del presunto canto contadino, un indovinello che la nonna era solita recitarle.

Chi è quell’aratore che spinge avanti i buoi, reggendo un aratro bianco e seminando un seme nero su un prato bianco? Chi, cioè, sciogliendo le metafore, con le sue dita regge una bianca penna d’oca e semina l’inchiostro scuro su un bianco foglio di carta? Lo scrittore!

Al di là del contenuto, quello che è divenuto celebre come l’indovinello veronese, proprio per la sua collocazione, è interessante anche dal punto di vista linguistico. La lingua scritta non è più latino, ma una prima forma di volgare, e quindi di italiano: iniziano a cadere le “m” tipiche dell’accusativo (album diventa albo, per esempio) e le “t” finali della terza persona singolare dell’imperfetto, che nell’indovinello è espresso in “-ba”, come in araba.

Oggi, cent’anni dopo quella scoperta, l’indovinello veronese è un gioiello custodito nella nostra città ai più ancora sconosciuto. Per vederlo è sufficiente recarsi al civico 19 di Piazza Duomo, dove lo si può trovare, seppur in copia, in esposizione permanente all’interno della più antica biblioteca del mondo ancora in attività. Attualmente, ci raccontano dalla Capitolare, il codice presenta purtroppo una situazione di elevata fotosensibilità dell’inchiostro, per cui non è possibile esporlo alla luce senza rischiare di comprometterlo. Per questo motivo non viene mostrato in originale, ma è stata realizzata una replica che è visibile durante l’apertura al pubblico e durante le visite guidate. 

Sugli eventi dedicati a questo anniversario tutto è ancora da decidersi. «Sicuramente sarebbe molto bello realizzarne uno dedicato al centenario della scoperta - commenta la dottoressa Valeria Nicolis -, anche se per i motivi di cui sopra, anche in questo caso purtroppo non potremmo esporre l’originale. Gli appuntamenti vengono pubblicati periodicamente sui nostri canali social e sul nostro sito, dove è possibile anche iscriversi alla newsletter per rimanere aggiornati».

Camilla Faccini