Storie di persone | 07 maggio 2024, 16:17

Fumetti, satira, cani & Co.

Fumetti, satira, cani & Co.

Avete mai sentito parlare di “satira pucciosa”? Se la risposta è no, è perché non conoscete Stefano Tartarotti. Fumettista e illustratore classe 1958, Stefano ha sempre disegnato: una volta presa in mano la matita da bambino, non ha più smesso. Non c’erano altre strade percorribili per lui («so fare solo quello» ci ha spiegato ridendo) e così è partito da lì, da quella passione che, da ormai quasi quarant’anni, è diventato un lavoro. Nato a Vipiteno in una famiglia di ferrovieri, a soli cinque anni si è trasferito nel veronese, passando l’infanzia e l’adolescenza tra San Bonifacio e San Benedetto di Lugana, sul lago di Garda. L’“addio” al territorio veronese l’ha dato a 20 anni, trasferendosi a Milano dove è rimasto fino a sei anni fa, quando ha lasciato la polverosa metropoli per trovare la pace in un paesaggio ben più bucolico: quello di Piozzano. È nel verde dei colli piacentini che Stefano lavora alle sue tavole: da quelle più satiriche legate alla politica e ai temi caldi di attualità, a quelle che raccontano una divertente quotidianità insieme alla sua vera musa ispiratrice, la “Cana” Lucy. La sua poliedricità lo ha portato negli anni a collaborare con diverse testate, tra cui “Il Post” e il mensile “Linus”, e a pubblicare diverse opere, tra cui “L’Italia spiegata agli alieni” (Comicout, 2016) e l’ultimo arrivato “La Cana spiega cose” (People, 2023). La sua specialità? Raccontare il mondo che ci circonda sempre con ironia e senza mai prendersi troppo sul serio.

Partiamo dalle tue origini: un po’ altoatesino, un po’ veronese, un po’ milanese…

Ogni volta che mi chiedono “di dove sei?”, mi viene da ridere. Essendo i miei genitori mantovani, capisco il dialetto mantovano ma non lo so parlare, capisco il dialetto veronese ma non lo so parlare, e così vale anche per il dialetto milanese. Sono stato un nomade, ma la mia famiglia vive ancora sul lago di Garda.

Come ti sei avvicinato ai fumetti?

Ho cominciato fin dalle medie, quando disegnavo fumetti sui quaderni. Poi ho iniziato il liceo scientifico a Desenzano, ma era un disastro: sono durato solo un biennio. Poi mio fratello maggiore ha trovato questa scuola di fumetto a Milano e sono riuscito a convincere mia madre a lasciarmi andare in una grande città “piena di droga e tentazioni” (ride, ndr).  Una volta finita, volevo dedicarmi alla satira, ma era passata un po’ di moda. Così, per potermi pagare l’affitto, ho cominciato a lavorare con i giornali economici come “Gente Money” e “Il Sole 24 Ore” facendo illustrazioni. Dopodiché, insieme a tre amici milanesi, abbiamo iniziato “Singloids”, una web comic dove raccontavamo la nostra vita da sfigati, senza ragazza, e abbiamo avuto dei bei riscontri, quindi ho continuato.

Cosa leggevi tu da piccolo?

Avevo cominciato con “Sturmtruppen” di Bonvi, poi leggevo i “Peanuts” e i fumetti americani, “Il pinguino Opus”, poi anche i vignettisti francesi con “Asterix e Obelix”.

Qual è il primo fumetto che hai disegnato di cui hai ricordo?

Non è esattamente il primo: è “Peppe il Tostapane” e parlava di un tipo sfigato che aveva un tostapane parlante. Era un fumetto un po’ cretino, un po’ ingenuo, ma ci sono molto affezionato ed è stato pubblicato su “Linus” circa trent’anni fa.

Nel 2015, invece, arriva la collaborazione con Il Post.

Loro avevano dei blog dove vari autori, fumettisti e giornalisti, pubblicavano i loro lavori e venivano promossi nell’homepage del sito. Mi proposi pur non conoscendo benissimo la realtà del giornale; quindi, gli chiesi se fossero interessati a pubblicare i miei fumetti sul loro “portale”. Una definizione che rimase impressa negativamente al direttore, Luca Sofri, il quale però mi diede una possibilità. Alla fine, questa storia l’ha ricordata anche nella prefazione che ha scritto per la mia prima raccolta di fumetti “L’Italia spiegata agli alieni” (ride, ndr).

Come nasce una tua tavola?

Le idee nascono a caso: a volte mi metto davanti al foglio e inizio a scrivere e disegnare, mentre altre volte mi basta uscire a passeggiare con il cane. O, ancora, quando faccio la doccia: di solito lì mi vengono un sacco di idee. Dopodiché mi metto sul divano con il portatile e inizio buttare giù una serie di tracce, spesso assurde.

La particolarità dei tuoi fumetti è che sono spesso autoreferenziali: racconti la tua quotidianità.

Molte delle mie storie sono dei monologhi e raccontare delle cose attraverso la mia quotidianità è più facile e veloce, ma soprattutto mi sembra di essere meno presuntuoso.

In che senso?

Mi piace non prendermi troppo sul serio e credo che dovrebbero farlo un po’ tutti. Sui social siamo stati abituati alla fiera del “ti dimostro di essere più sagace di te”: è l’Effetto Dunning-Kruger, secondo il quale meno sei competente su un argomento e più pensi di saperne. Io sono dell’idea che partire dal presupposto che noi stessi non siamo le persone più intelligenti del mondo, aiuterebbe il dialogo e il confronto.

E la Cana?

È la mia spalla comica e, spesso, spiega determinati concetti lei stessa nei fumetti. Inizialmente avevo iniziato a raccontare le nostre vicende quando giravamo insieme per le colline e incontravamo altri cani. Poi un lettore, che faceva il game designer, mi ha proposto di scrivere un “libro gioco” con protagonista la Cana: è andato talmente bene che da lì sono nati altri lavori legati anche a lei.

Parlando di satira, soprattutto politica, hai mai ricevuto attacchi per le tue vignette?

La quasi totalità dei vignettisti satirici esprime la propria opinione politica: c’è chi è più schierato e chi meno. Io, nel mio piccolo, ero stato attaccato pesantemente nel 2018, quando, in occasione di una modifica della legislazione relativa al porto d'armi, avevo disegnato un ritratto di Salvini fatto tutto di armi. Roberto Saviano lo aveva ripostato e, quindi, ero stato preso di mira. Avevo dovuto bloccare parecchie persone su Twitter. Una cosa analoga è successa anche quando avevo condannato la Russia. Ma d’altronde non si può battere sempre un colpo al cerchio e uno alla botte: su alcuni argomenti non si può non esprimere un’opinione.

La satira può essere rispettosa?

Io faccio quella che definisco “satira pucciosa”: uso condizionali, cerco di non offendere nessuno, ma è inevitabile. Dal mio punto di vista, ad oggi, c’è un equivoco di fondo: la satira è fatta per essere irrispettosa e politicamente scorretta: l'idea che una vignetta non debba mai offendere nessuno, come se fosse una circolare ministeriale, è sbagliata.

Questo lavoro, secondo te, può dare da vivere a un ragazzo che sogna di diventare fumettista?

È difficile, ma lo è sempre stato per tutte le professioni artistiche. Alla fine, chi ci riesce è fortunato o anche solo testardo. Nel mio caso, non sapevo fare nient’altro (ride, ndr) e quindi ho proseguito su quella strada. Oggi come oggi, con il web ci sono molte più possibilità.

Ti abbiamo chiesto cosa leggessi da piccolo. Ma adesso cosa leggi?

Io sono un “wanna-be lettore”: compro un sacco di libri e fumetti, ma poi ne leggo un centesimo. Di illustratori seguo soprattutto stranieri: Tom Gauld, Gary Larson e altri. 

Nessun italiano?

Li seguo poco perché ho paura di essere influenzato. Però mi piacciono molto Zerocalcare, che è anche un bravissimo narratore, e Natangelo, che è molto simpatico.

Tu ora cosa hai in cantiere?

Sto lavorando a un terzo “libro game” e dovrei terminarlo entro fine anno. Dovrei lavorare anche a un altro libro più “Cano-autobiografica”, ma non ho ancora avuto tempo.

Giorgia Preti