Storie di persone | 06 aprile 2024, 10:00

Un sorso che vale più di mille parole

Un sorso che vale più di mille parole

Quando parla di vino (e di cucina italiana), ci mette sempre la faccia e, ormai, ci si è abituata. D’altronde è ciò che le chiedono le centinaia di migliaia di follower che la seguono tra Instagram e TikTok, e Francesca Piemontese è felice di accontentarli. Veronese classe 1995, Francesca - ci prendiamo la libertà di dirlo - è secondo noi una di quei rari casi di persone che hanno la fortuna di nascere due volte nel corso della stessa vita. La prima volta è nata a Villafranca di Verona, dove è cresciuta ed è rimasta fino ai 19 anni. La seconda volta, invece, è nata a Cannes, in Francia, dove è diventata sommelier e si è costruita una carriera non solo lavorando in locali prestigiosi, ma anche sui social. Eppure, quella “prima fase” della sua vita è una preziosa componente della persona che è diventata: non tanto perché essendo veneta ne capisce di più in materia vinicola (quello, cari lettori, purtroppo non è un fattore determinante), ma perché non ci pensa proprio a dimenticare le sue radici, anzi. “Francesca Sommwine” - come è conosciuta sui social - ha reso la “veronesità” un suo tratto distintivo, tra licenze “vernacolari” e riferimenti al territorio, facendosi apprezzare per la simpatia, il savoir faire e la competenza professionale sia in Italia che al di là delle Alpi.

⁠Chi è Francesca Piemontese?

Io vengo da Villafranca di Verona e ho studiato al liceo lingue straniere, motivo per cui poi mi sono trasferita in Francia: avevamo fatto uno scambio culturale di un paio di settimane e mi sono innamorata di Cannes; sentivo che in qualche modo mi apparteneva.

Perché hai deciso di diventare sommelier?

Perché a Cannes inizialmente avevo iniziato a fare la ragazza alla pari dato che, detta proprio sinceramente, non avevo un euro (ride, ndr). Mi ero appena diplomata, avevo 19 anni. L'anno successivo ho lavorato in un paio di ristoranti, ma mi ero resa conto che non ero felice. L’ho detto al mio capo che mi ha proposto di lavorare in un altro locale di sua proprietà, un “bar à vin”, dicendo che mi avrebbe vista bene in quell’ambiente. All’epoca non sapevo niente di vino e non bevevo nemmeno; eppure, quando lui, che era sommelier, parlava di vino ero molto affascinata e le persone lo ascoltavano, quindi mi sono detta: “voglio diventare come lui”. 

 Cosa serve per diventare un buon sommelier?

Secondo me, per diventare un buon sommelier serve tantissima esperienza nella degustazione, nei viaggi, toccare con mano quello che racconti e condividere la storia di quel determinato vino, di quel posto, di quel terroir con il viticoltore stesso. Sicuramente la teoria è importante, ma alla fine la differenza la fa l'esperienza concreta. 

⁠Perché ti sei trasferita in Francia?

Mi sono trasferita in Francia perché fondamentalmente a Verona mi sentivo stretta: non avevo né una prospettiva né un progetto. Avevo bisogno di un altro posto per venire fuori.

⁠C’è un episodio della tua carriera che porti nel cuore?

Dopo essere diventata sommelier, mi sono presa qualche mese per andare in Australia e chiarirmi le idee, anche perché a Cannes non trovavo più nessun posto che mi piacesse. Conoscevo tutti i bar della città e non ce n’era nemmeno uno in cui volessi lavorare. Poi, il giorno stesso in cui avevo deciso di tornare in Francia mi è arriva una chiamata da parte di un bar che cercava un sommelier. Si trattava di un locale nuovo, che era nato proprio mentre non c’ero, e quando l’ho visto sono rimasta senza parole, perché era proprio il bar in cui sognavo di lavorare: magnifico, lussuoso, originale. Il capo aveva riposto su di me tutta la responsabilità e mi piaceva: ad esempio, non avevamo nemmeno la carta dei vini al bicchiere, perchè ero io a dover capire le esigenze del cliente attraverso le mie domande e questa cosa mi affascinava tantissimo, anche perché alla carta avevamo circa 60/70 bottiglie.

⁠Sui social ti sei ritagliata il tuo spazio. Come ci sei riuscita?

Sui social ci sono arrivata in pandemia. Essendo io pessimista di natura, avevo capito che la pandemia avrebbe rovinato la vita a tutti quelli che lavoravano nella ristorazione per molto tempo; quindi, avevo paura di dimenticarmi il mio lavoro e di annoiarmi. Sono ritornata a vivere con i miei e ho iniziato a fare questi video rispondendo a tutte le domande che mi facevano quotidianamente i clienti al locale. All’inizio è stato molto difficile: avevo tre “like” di mio fratello, mia zia e mia mamma, che mi ha detto di fare un video sulla differenza tra prosecco e champagne ed effettivamente è diventato virale.

⁠La domanda che ti fanno più spesso i tuoi follower?

Una costante è il prezzo delle bottiglie ritrovate in cantina del nonno, sperando che abbiano un valore alto, anche se non capita quasi mai. Mi chiedono spesso anche consigli su cantine da visitare. Poi mi capita anche molta gente che mi manda foto di piatti e mi chiede che tipo di vino abbinarci.

Qual è quella cosa che, da sommelier, ti fa venire la “pelle d’oca” ogni volta che la vedi?

Devo dire la verità: è il servizio. Quando vedo una persona che fa male il servizio di una bottiglia, mi viene la pelle d’oca anche nel cervello. Ci sono poche regole e ci si può sbagliare su alcune cose, però quando vedo camerieri che aprono la bottiglia come dei macellai, magari anche in ristoranti di classe...mi dà fastidio.

⁠Un mito da sfatare sul mondo del vino?

Mi viene in mente un mito sul rosé, che spesso le persone denigrano, eppure è il vino più difficile da fare: la vinificazione del vino rosé è molto più complicata di quello che la gente pensa. Un altro mito da sfatare riguarda lo spumante: tutti pensano che si debba far roteare il calice, ma così facendo le bollicine vanno perse.

⁠Come fai a gestire il tuo lavoro da sommelier e il tuo lavoro come content creator?

Era cominciato a diventare un problema, perché lavorando in un hotel a cinque stelle, stava diventando soffocante. Alla fine, ho deciso di lasciare il lavoro l’estate scorsa e adesso sono dedicata al cento per cento ai social.

Sui social sei presente anche con una pagina che gestisci insieme alla tua compagna Charlene, in cui parlate più di vita privata e cucina. Avete deciso insieme di aprirla?

Il profilo francese ha avuto un boom eccezionale perché l'abbiamo aperto pochissimi mesi fa e in pochissimo tempo abbiamo raggiunto più di 250mila persone su TikTok e 200mila su Instagram. Ho deciso io di aprire la pagina perché volevo un profilo dove non parlassi solo di vino. Siccome a me piace cucinare, sapevo che spiegare ricette italiane in francese come coppia avrebbe funzionato come concept. Et voilà!

⁠Voi siete la prova vivente che italiani e francesi, alla fine, vanno d’accordo. Siete l’eccezione?

Italiani e francesi vanno d'accordo per mia esperienza personale. Il fatto di essere italiano qui è solo un vantaggio in tutto quello che ho fatto: nella ristorazione, nella parte bar, nella parte amicale, nella parte amorosa. I francesi amano gli italiani. Quindi no, non siamo l'eccezione. Ormai stiamo insieme da quattro felici anni e il nostro ufficio è il tavolo della cucina (ride, ndr). 

Quindi qual è il piatto giusto per conquistare i francesi?

Un piatto semplicissimo: spaghetti con pomodorini freschi, aglio, basilico e olio rigorosamente italiano. Rimangono sempre esterrefatti.

Torniamo a noi: da veneta e, soprattutto, da sommelier, diresti che i veneti hanno una marcia in più in materia vinicola?

Eh no. Poverini, noi veneti nasciamo già con questa croce sulle spalle: “visto che sei veneto bevi tanto e ne capisci di vino”. In realtà non è così, anche perché secondo me in Italia tutte le regioni sono regioni a vocazione vinicola, non è come in Francia che hanno solo undici regioni vinicole.

Chiudiamo in bellezza: qual è il tuo vino preferito e perché?

Se parliamo di stile di vino preferito, io ho sempre avuto un debole per lo champagne, per i vini naturali, i vini biodinamici e gli “orange wine”. Il miglior champagne che io abbia mai assaggiato è un “Krug” del 2006 e penso che me lo ricorderò per tanto tempo. Per quanto riguarda l'orange wine, ne ho assaggiati due buonissimi: uno era un vino georgiano di cui non potrei decifrare il nome. Invece, un orange wine italiano che mi è piaciuto è stato “Privo”, un vino campano. 

Giorgia Preti