Storie di persone | 11 ottobre 2023, 10:23

Una vita tra i sassi

Una vita tra i sassi

A un primo sguardo quasi non ci si crede. È quel genere di cose che, in effetti, un genere non ce l’ha. Quelle cose che capita di incontrare, a volte per sbaglio nella vita, e che generano curiosità contrastanti. Quella sensazione l'ho avvertita cercando la casa di Luigi Lineri. Di lui sapevo solo che faccia aveva e che su di lui era stato girato un documentario intitolato “La Ricerca”, proiettato al Film Festival della Lessinia, edizione 2023.

Lo vedo di spalle a una decina di metri mentre riconosco i segnali d'arte sul portone di ingresso. Simboli preistorici, un volatile, sagome umane e animalesche. Più mi avvicino e più vengo abbracciato da un numero indefinibile di sassi e pietre ben disposti e ordinati sulle alte pareti di un vecchio fienile con un cortile sullo sfondo.

Ho la fortuna di incontrare prima l'uomo e poi la sua arte, e non il contrario. Luigi è seduto sul banchetto in legno dove scruta le pietruzze più piccole, diversi bigliettini con disegni, appunti, materiale per scrivere e incollare. Mi accoglie e mi è subito chiaro che la storia di Luigi fa parte di quel genere di cose che difficilmente puoi capire se ti ci avventuri da solo e non conosci la storia.

Tutto ha inizio il giorno in cui, poco più che ventenne, riconosce sul greto di un torrente una pietra dalla forma primordiale. L'ha raccolta e portata a casa. Da quel momento è cominciata un'avventura che dura da 60 anni: passeggia lungo l'Adige con spirito indagatore, catalogatore e matematico, senza tuttavia lasciare a casa la poesia, e identifica le pietre che possono raccontare le nostre origini.

«Che siano state modellate dall'uomo o dalla natura, è straordinario come in certe pietre e certi sassi si possano riconoscere capre, maiali, pesci, armi primitive, o anche simboli sessuali», racconta Luigi mentre mi mostra i suoi raccolti. «La mia opera è una ricostruzione, è un tentativo di valorizzare ciò che sta sotto i nostri piedi e parla di noi». Nel suo arsenale di selci e sassi di Zevio, dove abita con la moglie Tosca, cataloga i ritrovamenti per simbologia. C'è la sezione dedicata alle “armi” forse utilizzate per la caccia e strumenti per il lavoro primitivo, la sezione dei levigatori, quella che raccoglie le teste di capra, i pesci e i maiali. Tutto il lavoro di questi ultimi sessant'anni è raccolto qui, sotto l'insegna che indica l'etimologia greca di “pietra”, “arte scultorea” e “invocazione” applicata sopra la porta di ingresso di quello che può essere considerato il suo museo.

Tra queste mura e queste pietre sono entrati turisti da tutto il mondo guidati dalle indicazioni del magazine tedesco Art che lo annoverava tra i dieci luoghi meno noti da visitare in Italia. In seguito, è entrato il regista Giuseppe Petruzzellis che ci ha girato il documentario “La Ricerca”, che porta in scena quello che per Luigi è il capolavoro della vita. Un impegno che non ha goduto di risonanza mediatica fino a questi ultimi anni, nel nostro Paese, e che viene ripagato dalla massa di materiale raccolto in sessant'anni di ricerche. Se una pietra che ricorda la testa di una capra non fa una prova, dieci, venti, trenta teste di capra potranno diventare un indizio che è difficile relegare a un caso della natura. Questa è un po' la versione di Luigi.

E in merito al documentario “La Ricerca” dice: «A Bosco, a Petruzzellis e i suoi, dico grazie. Questo documentario è una delle cose più gratificanti della mia vita».

Luigi ci parla con orgoglio e gratitudine, non pretende che gli altri condividano la sua idea. D'altronde la sua è una ricerca artistica, non scientifica. Ai dubbiosi però risponde con la massa di reperti che, uno dopo l'altro, avvicina ad una risposta, senza mai garantire il taglio di un traguardo.

«Non so cosa ne sarà dopo di me – ci risponde Luigi – mi basta lasciare una speranza».

E in effetti un'indicazione ce la lascia. Basta ascoltare e osservare.

Guarda il servizio su Luigi Lineri

Marco Menini